di Simona Pacini
È attore, sceneggiatore e regista ma se oggi fai il nome di Antonio Manzini tutti pensano inevitabilmente alle storie del vicequestore Rocco Schiavone, il poliziotto fuori dagli schemi interpretato in tv da Marco Giallini.
Manzini però non è soltanto l’autore dei fortunati polizieschi editi da Sellerio, che con l’ultimo volume (per ora) della saga, Rien ne va plus, è rimasto indisturbato per settimane ai vertici delle classifiche. Alcuni anni fa ha pubblicato, sempre con l’editore siciliano, un racconto distopico e dagli accenti sarcastici sul destino dell’editoria italiana, “Sull’orlo del precipizio”, ispirato dalla particolare situazione del settore, nel momento in cui sembrava totalmente indirizzato verso la concentrazione di diverse importanti case editrici sotto un unico grande marchio.
Un tema particolarmente sentito dallo scrittore romano che infatti è tornato da poco sull’argomento con una seconda pubblicazione, “Ogni riferimento è puramente casuale”, raccolta di racconti satirici sul mondo della comunicazione e dell’editoria, uscita nel maggio scorso nella collana Il divano, sempre per Sellerio.
In questa intervista gli abbiamo proposto di ripercorrere alcuni passaggi riportati nel libriccino uscito nel 2015, per tentare un confronto e una riflessione sul mondo editoriale di oggi in rapporto ai timori espressi quattro anni fa.
In “Sull’orlo del precipizio” ipotizzavi scenari disastrosi per la narrativa italiana (pardon, comunicazione in lingua indigena), in seguito all’accorpamento delle principali case editrici nazionali, sotto un unico marchio estero. Le conseguenze erano la fine della libertà dello scrittore, dell’editoria indipendente, della sperimentazione linguistica dei poeti e l’annientamento della lingua letteraria.
A freddo, oggi come vedi la situazione? Le tue profezie si sono avverate?
“Qualche tentativo di appropriazione c’è stata (vedi salone di Milano) ma gli scenari distopici ed esagerati descritti nel libro, almeno per quello che riguarda l’editoria italiana, non si sono avverati. Non grazie però al fato o alla magnanimità, ma al lavoro di tante persone che hanno tenuto e resistito in piccole e medie case editrici, autori che si sono comportati dignitosamente, nell’ombra senza troppi clamori, e alla presenza di altri due grandi gruppi editoriali, pari se non superiore al tanto temuto di cui sopra, che hanno in qualche modo messo su una diga impedendo l’esondazione. Vedi, se si è soli sul mercato si fa il prezzo, soprattutto dei libri stranieri. Si dà la nota decisiva all’orchestra, insomma. La conquista del mercato non è andata a buon fine perché si è continuato a lavorare seriamente e pacatamente”.
Un racconto di fantaeditoria dai toni surreali nel quale i nuovi editori, per rilanciare i classici della letteratura, decidono di andare incontro ai gusti del pubblico, che cerca “amore, ottimismo e fratellanza”. Così, il capolavoro di Tolstoj diventa “Pace”, senza più Guerra, perché “non si può angosciare il lettore”. Che è la stessa ragione per cui Anna Karenina non finirà sotto al treno. I Promessi Sposi invece vengono tradotti con un linguaggio più accattivante e attuale.
È solo distopia, o c’è qualcosa di vero in tutto questo?
“C’è qualcosa di vero. Mi sono accorto che i lettori rifuggono per esempio da storie crude, spietate, anche dalle storie distopiche. E’ come se nei libri si cercasse sempre di più un po’ di tregua. Un’isola anche banale a volte, dove poter tirare il fiato. E molta dell’editoria cerca di seguire questo istinto/gusto per continuare a vendere libri. Non si spiegherebbe altrimenti perché due grandi libri come “La casa degli sguardi” di Daniele Mencarelli e “Sogni e favole” di Emanuele Trevi non ristagnino nei primi posti delle classifiche”.
La ricetta della Sigma, la casa editrice che ha inglobato tutte le altre, mandando in pensione i responsabili dei vari settori con i vecchi editor oltre a costringere scrittori affermati a scrivere libri di cucina e biografie di calciatori per sopravvivere, è: “Avventura sì. Malattie no. Divorzio no. Divorzio commedia sì. Matrimonio sì. Corna sì solo se poi pace. Corna e divorzio no. Sesso tanto. Con animali sì. Uomo e donna sì. Donna donna sì. Uomo uomo no”.
Succede così anche nella realtà?
“No, siamo onesti. nessuna ricetta viene applicata così dettagliatamente. Ma qualche ricetta alcuni editori ce l’hanno. “Mettimi due draghi, un po’ di gnocca e un paio di morti”. E scrivi un fantasy. Ma sto parlando di case editrici molto poco serie che hanno coi libri lo stesso rapporto che può avere un jamaicano con l’hockey sul ghiaccio”.
Sincerità, spontaneità, vita reale vengono cancellate dalla nuova narrazione, sacrificate alla cosiddetta “lingua indigena” che impone espressioni accattivanti e di sicura presa sul lettore. Questa, ovviamente, è solo una tua invenzione narrativa.
“Totalmente. Scusa no, in parte”.
Lo stesso trattamento è riservato ai personaggi. “Invece di Ciro, nano, pelato e zoppo il nostro eroe è alto biondo e ha gli occhi azzurri”. La maggioranza dei lettori, spiega l’editor della Sigma, sono donne. “Non possiamo consegnare alle loro fantasie una specie di Hobbit con la poliomelite“. Ma nemmeno Rocco Schiavone è alto biondo e con gli occhi azzurri!
“Infatti non lo pubblica la Sigma”.
“E basta con questa storia delle metafore”, dice uno dei nuovi editor a uno stupefatto Giorgio Volpe, lo scrittore protagonista del racconto. “Io so solo che i giovani vogliono discorsi diretti, che possano capire. Il lettore non deve andare a prendere il vocabolario per ogni parola che trova”. L’appiattimento del linguaggio è proprio quello che il pubblico vuole o è invece solo ciò che si vende più facilmente?
“Non so risponderti. Non oso risponderti. Quello che i lettori vogliono non lo so, ti posso dire quello che desidero io come lettore. Respiro, trama, ricercatezza, che non è affettazione, ed eleganza, che non è abolizione delle bestemmie, ironia, psicologia dei personaggi; detesto i moralismi, la retorica, l’atteggiamento cattedratico, il parlare troppo di se stessi e il credersi qualche gradino sopra il lettore, dare sfoggio cioè dell’esame di filologia romanza e cercare pedissequamente espressioni e lemmi desueti il più delle volte vuoti come i romanzi che li contengono. Si confonde letteratura alta, ammesso che esista, con i libretti universitari”.
La poesia non si vende più, tanto nessuno la compra. Il nuovo dio è il profitto. Questo è quanto dichiarano i nuovi editori nel tuo libro. Ma è poi così giusto sacrificare ogni forma artistica al dio denaro?
“Certo che no, ma guardati in giro, c’è qualcosa che non dipenda dal profitto? Si salverà il pianeta solo quando ci sarà un tornaconto economico altrimenti si sceglierà di morire in un deserto con l’unica soddisfazione di essere i più ricchi del cimitero”.
Giorgio Volpe, scrittore di best seller osannato da editori e pubblico, si ritrova, dopo il trattamento Sigma, a partecipare al Salone del Libro con il proprio “codice prodotto”. La trasformazione è compiuta. Da genio insofferente alle regole è ormai inquadrato in una nuova realtà che gli ha tolto potere ma anche responsabilità, se non quella di “mantenere le promesse commerciali”.
Lui le ha provate tutte per uscire da quella gabbia, ma non ce l’ha fatta. È veramente impossibile?
“Non è impossibile, è molto difficile. Ci sono fiori di scrittori in questo paese, permettimi di nominarne qualcuno: Niccolò Ammaniti, Simona Vinci, Emanuele Trevi, Raul Montanari, Valeria Parrella, Eraldo Baldini, Elena Ferrante, sono i primi che mi vengono in mente. Non mi sembra che sottostiano al codice prodotto, se dio vuole”.
L’editoria deve temere solo se stessa. È questa la morale che sembri voler veicolare con il tuo racconto. Il destino della narrativa italiana è segnato o può essere ancora salvata?
“È in perenne crisi, di lettori, forse anche di idee e autori, però è una fenice, lo è sempre stata. Resta l’unica arma contro gli abissi di ignoranza e oscurantismo che ci circondano. Anzi credo che proprio da giorni orrendi come questi tragga forza vitale, la linfa per rinascere e continuare a illuminare le vite di tutti noi. Ci sono stati negli ultimi cento anni due guerre, il nazi-fascismo, Berlusconi, l’ignoranza, l’idiozia eppure…”
(14 luglio 2019)
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