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Il fascino del vestito dei libri

di Marco Mastrorilli

Entrare in una libreria è un’esperienza che per certi aspetti può divenire onirica, poiché oscilla tra il semplice piacere di curiosare e un’irresistibile passione che ci spinge ad acquistare, spesso anche senza un reale bisogno. 

Non vi è forse mai capitato di entrare in libreria senza l’intento di acquistare uscendo poi con un libro sottobraccio?

Ogni libro che prendiamo in mano sembra esercitare un richiamo magnetico, e, pur sapendo che potrebbe restare a lungo sullo scaffale prima di essere letto, ci lasciamo guidare dal desiderio di possederlo.

Uno dei più grandi letterati italiani di ogni tempo ci ha offerto la sua visione su questo concetto. Ecco infatti le parole di Umberto eco a toglierci dall’imbarazzo dell’acquisto non previsto: “È sciocco pensare di dover leggere tutti i libri che compri, come è sciocco criticare chi compra più libri di quanti ne potrà mai leggere. Sarebbe come dire che dovresti usare tutte le posate o occhiali, cacciaviti o punte da trapano acquistati prima di acquistarne di nuovi.
Ci sono cose nella vita di cui abbiamo bisogno di avere sempre scorte in abbondanza, anche se ne utilizzeremo solo una piccola parte.

Poi ci sono persone illuminate ed illuminanti come Giampiero Mughini, che molti conoscono per esser opinionista tifoso juventino, ma in realtà  come lui stesso di definisce un bibliofolle, capace di scrivere un libro meraviglioso come La collezione (Einaudi) nel quale l’oggetto libro assurge ad un ruolo quasi mistico, vivo e la sua ricerca di libri rari, di carte pregiate, inchiostri particolari vi riporta anche al valore di copertine illustrate magistralmente da Bruno Munari o Alberto Burri.

Per noi comuni mortali, non malati di piacevoli disturbi da accumulo seriale di tomi, il viaggio verso l’acquisto di un libro passa inevitabilmente attraverso le copertine. Anche se non vogliamo talvolta pensarlo, le copertine dei libri, con il loro impatto visivo, sono strumenti fondamentali per attirare la nostra attenzione.

Non sempre, tuttavia, riflettono il contenuto dell’opera che racchiudono. È capitato a molti di acquistare un libro dalla grafica irresistibile, solo per scoprire che il contenuto era deludente, o viceversa, di scoprire un capolavoro sotto una copertina poco accattivante. Questi involucri di carta, spesso concepiti da mani diverse da quelle dell’autore, hanno il compito di invogliarci a scoprire cosa si cela tra le pagine.

In questo scenario di copertine voglio raccomandarvi un piccolo libro che sono certo sarà capace di conquistarvi e che vive sulla potenza evocativa della copertina.

Jhumpa Lahiri, vincitrice del Premio Pulitzer, ha dedicato, con grande delicatezza, un intero libro al rapporto tra autore e copertina, Il vestito dei libri (Guanda).

In questo volume, la scrittrice americana riflette sul legame e talvolta sull’attrito tra il contenuto di un’opera e la sua confezione esteriore.

È davvero bellissimo scoprire che per un autore e per il lettore la copertina è un vestito che può suscitare emozioni anche opposte e quanto è affascinante rilevare che una scrittrice come Jhumpa Lahiri possa avvertire emozione e un pizzico di paura alla presentazione da parte dell’editore della copertina che vestirà i suo libro.

La scrittura è un momento di grande intimità per certi aspetti: l’autore scrive e si confronta con la sua personalità, i suoi sentimenti, le sue forze e fragilità e la copertina è l’interpretazione di un’altra persona o di un team di grafici e illustratori che disegnano la raffigurazione della sua opera. Il risultato può tradire o rispecchiare le attese e questo libro descrive con grazia questo momento. Ecco come un libro può diventare un momento intimo, quasi una confessione di una grande scrittrice che si apre con i suoi lettori.

Nel suo libro Il vestito dei libri, Lahiri sintetizza magistralmente anche il rapporto che si crea con la copertina da parte dell’autore, che può vederla anche come una profanazione dell’opera scrive: “Mi colpisce sempre vedere come sulle pagine di La lettura del Corriere della Sera, alle copertine venga assegnato un voto, come alla lo stile e alla storia di ogni volume recensito. Inizialmente ho pensato: non è giusto. Perché una tale attenzione? Poi mi sono ricreduta. Ha senso. Una volta che esiste fa parte del libro, per cui fa un effetto, positivo o negativo. Attrae o respinge il lettore.

Proprio parlando di copertine siamo portati subito a considerare la parte frontale del libro senza rendersi conto dell’importanza determinante anche della quarta di copertina che contiene quella porzione di testo che dialoga direttamente con il lettore.

Spesso la quarta contiene il prezzo del libro, un dettaglio che può frenare l’acquisto o trasformare il desiderio in realtà.

In alcuni casi, la quarta di copertina o i risvolti interni, noti anche come bandelle, ospitano un testo che va ben oltre il semplice riassunto del libro, oppure la recensione di un grande magazine o le parole ammalianti di un grande scrittore che vuole invogliarvi all’acquisto.

Questo spazio ridotto richiede una scrittura incisiva, capace di sintetizzare l’essenza dell’opera in poche righe, un’arte che va oltre la sinossi convenzionale.

La sinossi, infatti, è un testo tecnico che riassume l’idea alla base di un’opera, i personaggi, la trama e, nel caso di un romanzo, anche il finale, ma sul libro non troviamo la sinossi!

Quest’ultimo è un documento destinato agli editori, molto diverso dal testo della quarta di copertina, che deve invece emozionare il lettore e invogliarlo all’acquisto.

Per comprendere l’importanza e la complessità di questo lavoro, basta sfogliare Il libro dei risvolti (Mondadori) una silloge di 420 testi scritti da Italo Calvino per le quarte di copertina e i risvolti di opere di autori come Hemingway, Levi, Salinger, Sciascia e molti altri.

Se non l’avete letto, pur trattandosi di un libro particolare, ve lo consiglio perché vi dimostra come l’uso sapiente della parole da parte di Calvino vi conduca in un viaggio, un percorso mentale che invoglia a leggere quel libro del quale parla.

Calvino stesso, in un’intervista, dichiarò di aver dedicato gran parte del suo tempo di scrittura ai libri degli altri.

La sua maestria emerge nella capacità di condensare in poche righe l’essenza di un libro, trasformando un semplice testo editoriale in un piccolo capolavoro letterario. Ecco due esempi:

Sul diario di Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, scrive che non si tratta di una semplice cronaca di giorni e fatti, ma della storia di una vita interiore, una ricerca di tecnica poetica e di un modo di stare al mondo.

Per Lincubo ad aria condizionata di Henry Miller, Calvino annota che, tra i libri di critica alla civiltà americana, questo è forse il più spietato e fazioso, ma anche il più appassionatamente americano.

Questi brevi testi dimostrano come la capacità di sintesi, unita a una scrittura evocativa, possa influenzare le scelte del lettore.

Tommaso Munari, curatore del libro di Calvino, sottolinea che, se l’incipit di un libro cattura l’attenzione, l’explicit, che nella quarta o nei risvolti diventa un’esortazione implicita, deve trasformare l’interesse in un desiderio di approfondimento.

Anche in questo, Calvino si è rivelato un maestro, offrendo una lezione di scrittura e dimostrando che ogni parola, persino in uno spazio ridotto, può contenere il peso e il valore di un’intera opera.

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