di Enrico Pompeo
Titolo: Blu
Autrice: Giorgia Tribuiani
Edizioni: Fazi Editore
Pagine: 252
Giorgia Tribuiani torna alla pubblicazione dopo il notevole esordio, “Guasti”, pubblicato con Voland. In “Blu”, uscito per Fazi Editore, la scrittrice continua il suo percorso di approfondimento delle ossessioni, dei luoghi oscuri che abitano in ognuno di noi. Nel primo romanzo, sotto lo sguardo originale dell’autrice, era finito il rapporto morboso che si può sviluppare tra l’essere umano e la ricerca di annullare lo scorrere del tempo, scegliendo di farsi immortalare in una posa per l’eternità, ricorrendo alla tecnica della ‘plastinazione’, un procedimento che permette la conservazione del corpo umano tramite la sostituzione dei liquidi organici con composti di silicone.
Qui, in “Blu”, ci si addentra nel mondo complesso e inquieto di chi soffre di un disturbo ossessivo compulsivo nei confronti della realtà e di, conseguenza, di una forte crisi d’identità.
La protagonista, Ginevra, detta Blu, è una ragazza di diciassette anni, che frequenta il Liceo Artistico e vive un rapporto problematico con se stessa, sdoppiandosi tra la versione buona, obbediente che vorrebbe essere, soprattutto per piacere agli occhi della madre, e quella più rabbiosa, distruttiva, ma altrettanto autentica, che la porta a una continua scissione della personalità.
La Tribuiani scrive una storia coraggiosa, che esce dai canoni, con una voce molto diversa dai testi che si trovano ora pubblicati. Intanto il ritmo, molto vorticoso e poi la scelta di alternare i tempi e la voce, da una seconda persona martellante ad alcuni intermezzi in prima.
L’elemento centrale è proprio la volontà di parlare di ciò che sta dentro di noi, che sentiamo di avere, ma che ci fa paura conoscere.
Esemplare è la frase scelta per l’esergo, di Artaud: “Credo che da me venne fuori un essere, un giorno, che pretese di essere guardato.”
In evidenza anche la volontà di scoprire quanto il bisogno, la necessitò psicologica di essere considerati, accolti faccia indossare delle maschere, ci porti a nascondere le nostre debolezze per apparire forti ma, così facendo, cominciamo a fingere e rischiamo di non fermarci più.
Come dice David Foster Wallace, altra presenza che si intuisce essere un riferimento importante per l’autrice: “bisognerebbe riuscire a dare spazio alla parte di sé che ama e non a quella che vuole essere amata.”
Un libro che ti mette alla prova, forse non per tutti, ma che propone un percorso verso se stessi che non si dimentica.
C’è l’adolescenza che, in fondo, per ognuno è il periodo più significativo dell’esistenza, quello in cui ti formi, nel bene e nel male e con il quale, prima o poi, occorre fare i conti.
C’è il rapporto con l’arte: qui si affronta il tema della performance art, di quegli artisti per cui la distanza tra vita e atto creativo si annulla, fino a diventare l’una il riflesso dell’altra.
Un libro che non si dimentica, da leggere con calma e poi, una volta concluso, capace di suscitare emozioni, domande, riflessioni.
Come un seme che germina nel tempo.
Giorgia Tribuiani si conferma una delle voci più interessanti della narrativa contemporanea italiana, per niente attratta dalle mode letterarie del momento, ma decisa a perseguire un suo percorso di approfondimento, di ricerca, verso le zone oscure del nostro essere, con la possibilità di intravedere, in quelle crepe, una squarcio di luce.
Libro interessante, particolare, da non perdere, se si vuole provare a conoscere meglio se stessi e gli altri.
Buona lettura.
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