di Enrico Pompeo
Titolo: La forma del silenzio
Autore: Stefano Corbetta
Edizioni: Ponte Alle Grazie
Pagine: 230
Ci sono dei libri che parlano di più attraverso gli spazi bianchi tra una frase e l’altra che attraverso le parole. D’altronde tanti compositori di musica sostengono che il vero suono non sia nelle note, ma nello spazio che si crea tra di loro. Stefano Corbetta è uno scrittore così, uno che riesce a spostare lo sguardo di chi legge e a condurlo in luoghi e ambienti che non sono visibili a uno sguardo disattento. A questo scrittore interessa la marginalità, cerca percorsi meno battuti e li lascia raccontare a chi ha strumenti di percezione differenti.
Già nel suo altro romanzo “Sonno Bianco” edito da Hacca, altra interessante casa editrice indipendente di qualità, la storia raccontava il rapporto tra due sorelle, una delle quali immobilizzata, in coma, in un letto d’ospedale dopo un incidente in una gita scolastica. Anche lì, in un qualche modo, si affrontava il tema del rapporto tra un’assenza di linguaggio e una presenza di emozioni, di sensi di colpa, di vissuti tormentati.
In questo nuovo romanzo c’è ancora il desiderio di scoprire cosa significa avere una percezione differente della realtà, in un’ottica di empatia e ascolto verso chi ha situazioni difficili, senza pietismo o indulgenza, ma per comprendere, per mostrare.
Qui la vicenda prende spunto da una sparizione: Leo, un bambino nato sordo, ospite di un Istituto Specializzato di vecchio stampo, contrario all’utilizzo della Lingua dei Segni e convinto della necessità di spingere questi ‘pazienti’ alla forzatura delle parole, un giorno di Inverno sparisce, scappa e nessuno ne sa più niente.
Leo ha appena sette anni e la scomparsa getta la sua famiglia d’origine nel baratro, soprattutto sua sorella, di poco più grande, che aveva con Leo un rapporto speciale, fatto di un linguaggio non verbale, di carezze, gesti, interpretazioni.
Ognuno dei familiari, in modi scomposti, disturbati, cerca di reagire a questo dolore e trova una sorta di bussola, più o mena funzionante, per non sparire dentro il gorgo del dolore.
Sono passati ormai diciannove anni da quella notte dell’inverno del 1964 e un giorno, nello studio della sorella, ora educatrice di sostegno nella scuola, appare un uomo, Michele, sordomuto anche lui, che comincia a raccontare una storia a partire proprio da quel giorno maledetto.
Dice di essere un compagno di classe di Leo e di sapere qualcosa di quello che è successo, parla di qualcuno che ha portato via il bambino.
Chi è Michele? Perché si presenta solo adesso? Chi è l’uomo che viene incolpato della sparizione del fratellino? Quanta forza ci vuole per affrontare passati tragici, che ormai sembravano sepolti nel tempo e che invece tornano, all’improvviso, a reclamare chiarezza?
Con un ritmo trascinante e un linguaggio semplice, ricco di immagini e di attenzione per le piccole cose, seguiamo Anna, la sorella di Leo, alla ricerca disperata di un senso, di una direzione, di una spiegazione che possa ricomporre la frattura. Che, forse, è ormai insanabile.
Con un finale che lascia spazio alla riflessione, alla domanda su cosa faremmo noi al posto di Anna, Corbetta crea un racconto intrigante, che viaggia in un territorio al limite tra giallo, romanzo di formazione, psicologico e apre squarci su mondi sommersi, spingendoci a capire cosa ci sia dietro le parole, oltre ciò che si vede.
Un libro che è stato segnalato anche al Premio Strega, che conferma le qualità di questo scrittore, così capace di trovare il filo nascosto che lega gli esseri umani e che parte da orizzonti che possono solo essere evocati, ma non esplicitati.
Anche perché, così, perderebbero la loro magia.
Buona lettura.
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