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La musica del mare

di Enrico Pompeo

Titolo: Le onde

Autore: Virginia Woolf

Editore: Newton Compton

Traduzione di: Maura Del Serra

Ebbene sì: ogni tanto anche un classico! Lo lessi nel 2001 in Brasile, me l’ero portato dietro perché mi aveva colpito il titolo e la convinzione, espressa in molte lettere dall’autrice, che questo fosse il vertice assoluto, il capolavoro del proprio talento narrativo. Me lo gustai quando con un battello, lento e pigro, mi spostai da Belem a Manaus in una settimana, risalendo il Rio delle Amazzoni. Passai quei giorni su acque che da marrone terra diventavano sempre più  azzurre, con i bordi delle coste che finirono per diventare solo una linea scura all’orizzonte. Trascorremmo il tempo sdraiati sulle amache a sonnecchiare, guardare il fiume crescere e scorgere i delfini rosa – lo giuro, sono davvero di quel colore – che guizzavano attorno al traghetto. Unici turisti presenti, io, una coppia di ragazzi olandesi, un tedesco e basta. Tutti gli altri erano brasiliani meticci, neri, indigeni che si spostavano per lavoro, commercio o per andare a comprare qualcosa a Manaus, porto franco e con prezzi  bassissimi, soprattutto su elettrodomestici e automobili.

Io leggevo tanto e qualche volta mi alzavo, andavo fino alla prua, osservavo il Rio e me ne tornavo al mio posto a chiacchierare nel mio portoghese stentato con famiglie e bambini che mi guardavano come fossi un marziano.

Ricordo i pasti: in fila verso un baracchino di legno, dove un marinaio nero come il buio riempiva i piatti e ce li dava. A colazione latte, caffè, un panino con il burro e, se lo volevi, un uovo al tegamino. A pranzo riso, fagioli e patate lesse. A cena riso, fagioli e pollo. Punto.

E il libro della Woolf mi sembrò che descrivesse quello che avevo intorno: la dissoluzione delle identità personali dentro una dimensione fluida, misteriosa, magnetica, come la Foresta Amazzonica.

Fu un’autentica folgorazione. Avevo con me una penna che usai per sottolineare i punti importanti; il libro è quasi tutto segnato. Ogni frase, ogni parola è un capolavoro.

Poi, tornato in Italia, lo misi in libreria e non volli più toccarlo: avevo paura che la magia di quelle pagine fosse irrimediabilmente segnata da quell’esperienza, dal’incantesimo della Selva, dall’emozione del primo viaggio da solo all’estero nella terra dei miei sogni di bambino e che, rileggerlo, mi avrebbe portato solo delusione.

Questo mese, finito un romanzo che non mi ha molto impressionato, guardo la libreria in cerca di qualche titolo e questo, chissà perché, vedo che è leggermente uscito dal suo posto e sporge verso di me. Lo prendo, titubante, sono passati diciannove anni; lo sfoglio così, quasi distrattamente, poi inizio a leggerne delle frasi e ci sono dentro, di nuovo, come allora.

Questo per me è un libro unico. Non è un romanzo, perché non c’è una storia, un conflitto, una risoluzione. Niente di tutto questo. Non è poesia, anche se è scritto con un linguaggio molto evocativo. È qualcosa di diverso, una sorta di composizione sonora in parole. Forse questa è la descrizione che mi sembra più adatta, almeno quella che io so trovare. Se si vuole andare a vedere, parla di sei personaggi, tre uomini e tre donne e di alcune situazioni che li mettono in relazione. In più c’è una settima voce, riconoscibile anche perché in corsivo, che è la voce esterna, quella di un narratore che trasporta il discorso verso l’Altrove.

Chiaro, non è un testo per tutti. Gli amanti del minimalismo, gli ortodossi del racconto potrebbero trovarsi spiazzati. Ma se si prova a fare uno sforzo, se si è disponibili a lasciarsi andare, qui si fa un viaggio che è ancora più profondo e intimo di qualsiasi altra esperienza quotidiana, anche quelle più mistiche.

La Woolf ci conduce per mano in una sorta di cammino iniziatico e ci svela i suoni nascosti delle cose, le armonie segrete e invisibili che uniscono noi e la natura.

L’Io non esiste, si stempera e diventa uno strumento, un suono che va accordato con gli altri esseri viventi e questo riesce soltanto nel momento in cui si assume cognizione della nostra limitatezza, finitudine e ci riconosciamo parte di un intero.

Insomma, l’ho finito in un giorno ed è stato come la prima volta.

Leggere questo libro per me è un’esperienza di potenziamento della coscienza, di affinamento degli strumenti di percezione.

Davvero.

Ripeto, testo denso, articolato, anche molto variegato ma non importa, perché perdervisi dentro fa parte del gioco. E poi la Woolf è una scrittrice meravigliosa, perché ti porta in mondi e territori sconosciuti con un linguaggio particolare – stupendamente trasmesso dall’ottima traduzione – che è semplice, immediato, diretto.

Sì, lo so che può sembrare un’assurdità, però è proprio così: per raccontare la complessità dell’animo umano non serve un vocabolario oscuro, ma parole che portano una luce, come candele che illuminano il cammino.

Grande opera. Monumentale.

A Settembre, mi sa, andrò su qualcosa di più lineare, oppure no, chissà …, le scelte non dipendono solo da noi.

Buona lettura!

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