di Caterina Corucci
Usciamo dal locale e fuori è buio, fra le tante macchine e i pullman parcheggiati in attesa dovrebbe esserci il taxi che ho prenotato stamani. Raggiungiamo il punto concordato e lo trovo. Adesso con questo freddo, con il telefono scarico per aver fatto troppe foto e troppi video, con tante ore di viaggio per tornare a casa, con mia figlia che è grande ma piccola, penso che ne è valsa la pena. L’aeroporto di Bari non è grandissimo però non lo conosco e ho paura di perdermi. Anna mi segue con le guance ancora accese per l’eccitazione, con la sciarpa arrotolata male, lo zaino che gli pende da una spalla e un po’ di stanchezza sulle ciglia. Individuo sul monitor il nostro volo poi mi guardo intorno e cerco il gate, interrogando i marmi lucidi e le vetrate.
– Mamma vieni, è di qua – Anna è piccola ma sveglia.
Stamani siamo partite da casa alle sei, abbiamo preso un treno per Pisa e da lì l’aereo per Bari, poi siamo salite sul taxi che ci ha portato in località Modugno, al Demodè, un locale dove si fa musica dal vivo. Siamo qui per il raduno dei lupi (così si chiamano i fan di Ermal Meta), che è anche un concerto, ed è il regalo di Natale che mi ha chiesto mia figlia.
Arrivate sul posto ci siamo unite alla folla già presente e abbiamo aspettato in piedi per ben tre ore che aprissero i cancelli, compresse fra circa mille persone caricatissime e anche un po’ agguerrite. C’era anche una suora che pian pianino cercava di avanzare nella fila e ricordo di averla già vista ad un altro concerto di Ermal, mi aveva colpita, la suora lupa. Una volta dentro siamo riuscite ad arrivare quasi sotto il palco, e ci siamo rilassate in modo euforico.
Quei momenti ce li ho ancora sulla pelle e sotto le dita: Anna che oggi non mi odia, come la sua adolescenza di solito le suggerisce; le foto con le ragazze conosciute alla transenna; un panino sedute per terra aspettando l’inizio. Poi la mia amica Angela anche lei qui per il raduno, che è di Bari e mi ha portato i tarallucci. E ovviamente Ermal Meta, quello che ha messo in musica delle storie davvero belle, quello che ha scritto la canzone “Vietato morire”, un inno contro la violenza.
Il 25 novembre a Livorno è stata inaugurata una panchina rossa con le parole della sua canzone dipinte sopra: “E ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai”, ovvero, è importante riconoscere il nascere della violenza e distaccarsene, trovando il coraggio per cambiare le cose.
Si tratta di una di quelle panchine simbolo della lotta contro la violenza di genere, messa in mezzo a un viale alberato per ricordare l’assenza, il vuoto lasciato dalle troppe donne uccise. Ce ne sono diverse di panchine così, sparse in tanti parchi italiani. Quella di Livorno è stata dipinta dai ragazzi della quinta A dell’ITC Attias di Livorno, un bellissimo gruppo che insieme ai docenti ha scelto quest’iniziativa per il progetto Cittadinanza e Costituzione, che sarà parte dell’esame di maturità. Rossa come le scarpe rosse che portano lo stesso messaggio. Rossa che non puoi non vederla, fra i rami storti e le foglie stanche di un autunno pensante. C’ero anche io all’inaugurazione in Villa Fabbricotti, c’erano insegnanti, avvocati, fotografi e ragazzi, tanti ragazzi di una generazione che regala speranze.
Per questo progetto la classe ha deciso di seguire un percorso che tocca Paolo e Francesca, la coppia colpevole di quell’amore fedifrago che costò a lei la vita; la novella di Verga “Tentazione!” che racconta uno stupro di gruppo; Marinetti con la donna futurista; Virginia Woolf e non solo.
Anche Ermal Meta, oggi, raccontando episodi della sua vita, ha parlato di coraggio, di tenacia e di cultura. Ha invitato ad abbuffarci di libri che non fanno ingrassare, e a scoprire che nascosto fra le pagine c’è sempre qualcosa che ci risuona, che sembra scritto per noi. Anche fosse solo qualche riga o soltanto una frase, leggerla darà senso a tutto il libro. E poi via alla musica, voce e chitarra, tutto in acustica.
Lo sai che una ferita si chiude e dentro non si vede / Che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare / E scegli una strada diversa e ricorda che l’amore non è violenza / Ricorda di disobbedire e ricorda che è vietato morire.
Anna cantava e io la fotografavo di nascosto, e tutti con le braccia alzate a ritmo, a cantare, piangere, ridere. Io pensavo che mi sarei sentita fuori luogo, però c’erano tante mamme come me che pensavano si sarebbero sentite fuori luogo; eppure eravamo tutte lì a cantare, piangere, ridere.
Adesso siamo sull’aereo e Anna ha fame, sono quasi le nove di sera e non c’è stato tempo per mangiare, meno male ci sono i tarallucci di Angela. Poi abbiamo cominciato a guardare le foto.
– Mamma questa che hai fatto è stra-ganza, mandamela subito.
– Okay e tu ce l’hai il video di quando canta “Umano”?
L’aereo è partito un po’ in ritardo e io guardo l’orologio troppo spesso.
– E se a Pisa perdiamo il treno?
– Non lo so Anna… dormiamo lì – faccio quella tranquilla ma non è vero.
Invece ce la facciamo, il treno lo prendiamo per un soffio, quello delle 23,10.
Sopra siamo in pochi, di donne e bambini nemmeno l’ombra, solo brutte facce. Mi sposto di vagone in vagone cercando compagni di viaggio rassicuranti fino ad arrivare in cima al treno. Ci sediamo e mi accorgo del mal di schiena, meno male che il viaggio è breve, mi si chiudono gli occhi e se mi addormento chissà dove andiamo a finire. Ma non mi addormento e comunque la nostra è l’ultima fermata, più di Livorno non si va.
Arriviamo che è quasi mezzanotte, la stazione è deserta, facciamo a passo svelto il sottopassaggio e di corsa la piazza fino alla macchina; entriamo, chiudo le serrature dall’interno e mi abbandono pesantemente sul sedile. Metto in moto e accendo i fari, il fascio di luce illumina un alberello di pitosforo che il barbone della stazione ha addobbato, trasformandolo nel suo albero di Natale.
– Anna, sai quel concerto di Ermal a Torino…
– Sì?
– Dev’essere bello, no? Ci volevi andare, mi pare.
– Si ma avevi detto che è lontano, e poi troppi soldi.
– E’ vero, però pensavo, e se i biglietti te li portasse la befana? Ma a papà devi dire che avevi scritto una letterina davvero strappalacrime.
Anna butta lo zaino sul sedile dietro e poi si gira verso di me. Nel buio le vedo brillare gli occhi.
– Ci sto. Però mamma, una cosa: io alla befana non ci credo più.
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