di Simona Pacini
Chi pensasse che i fatti descritti nel libro di Miriam Toews, Donne che parlano (Marcos y Marcos, 2018, traduzione di Maurizia Balmelli), in fondo non riguardano la nostra società poiché si svolgono nel ristretto di una rigida comunità mennonita in Bolivia, si sbaglierebbe di grosso. Toews ci mostra un mondo chiuso, asfittico, una comunità religiosa fondata su una concezione esasperata del patriarcato, maschilista e fondamentalista, in cui le donne non hanno diritti né autonomia alcuna.
Niente di nuovo. Se non fosse che nella comunità di Molotschna, fra il 2005 e il 2009, più di cento donne di tutte le età (comprese bambine e anziane) furono violentate a loro insaputa, durante la notte, da alcuni maschi della comunità dopo essere state stordite con un anestetico per le vacche. All’inizio i capi della comunità avevano liquidato il tutto come frutto dell’immaginazione delle donne o come un intervento del diavolo. Invece i colpevoli erano gli uomini che vivevano al loro fianco: zii, fratelli, cugini, vicini.
Toews, cresciuta lei stessa in una comunità mennonita del Canada, racconta la riunione clandestina in cui queste donne cominciano a prendere coscienza del loro essere. La storia si svolge nello spazio di ventiquattro ore, il tempo in cui le donne dovranno prendere la loro decisione scegliendo fra tre opzioni: 1. Non fare niente; 2. Restare e combattere; 3. Andarsene.
Tre opzioni tradotte in disegni, perché che non sanno leggere. La voce narrante è maschile, quella di un membro reietto della comunità. August Epp, “uno che si è ridotto all’insegnamento anziché lavorare nei campi come gli altri uomini”, è stato incaricato dalle donne di redigere il verbale, che scriverà traducendo in inglese il dialetto tedesco medievale, il patch deutsch, parlato (ma non scritto) all’interno della comunità. I colpevoli sono stati condotti in città dopo l’intervento della polizia, mai entrata prima di allora a Molotschna. Gli uomini della comunità hanno inteso così proteggerli dalla furia omicida delle donne, più che cercare una forma di giustizia. Ora dovranno pagare la cauzione e riportarli a casa mentre le donne devono sbrigarsi a trovare una soluzione prima del loro rientro. Dove possano andare queste creature (nel caso prevalesse la terza opzione) che non solo non leggono, non scrivono e non hanno le mappe del mondo là fuori, ma non sanno nemmeno dove vivono perché non sono mai uscite dalla comunità, è un mistero.
Nella storia narrata da Toews il mondo là fuori fa capolino sulle note di California dreamin’ dei Mamas and Papas, uscite dalla radio di un furgone di passaggio, a rompere la monotonia degli inni sacri, unica musica accettata nella comunità. Il rock diventa così il simbolo di una salvezza possibile, una ventata di aria fresca nell’immobilità cara ai mennoniti. La vita di Miriam Toews, considerata una delle voci più originali e significative della narrativa anglofona e seconda scrittrice canadese per importanza dopo il premio Nobel Alice Munro, è costellata di tragedie che l’autrice ha raccontato in romanzi pieni di grazia e di speranza.
Libro di testo nelle scuole in Canada, Un complicato atto d’amore, uscito per Adelphi prima che Marcos y Marcos riuscisse ad aggiudicarsi le opere della scrittrice, è stato scritto dopo che il padre si è tolto la vita. La madre era già scomparsa. Anche la sorella, in preda a una profonda depressione (per la quale Toews scriverà In fuga con la zia), si suiciderà. La sua storia, anch’essa tragica ma resa lieve e poetica dalla penna dell’autrice, sarà al centro del romanzo I miei piccoli dispiaceri. Miriam Toews è stata anche attrice: il regista messicano Carlos Reygadas l’ha scelta per il film sulla comunità mennonita Stellet licht (Silent light, 2007), Premio della Giuria a Cannes. Dopo ha raccontato quella storia nel romanzo Io sono Irma Voth. Donne che parlano è il suo ultimo libro, che esce sul mercato italiano in un periodo in cui le donne sono spesso al centro della cronaca perché uccise o vittime di violenze. Un periodo su cui aleggia lo spettro della perdita di diritti considerati ormai acquisiti, in cui sembra corrersi il rischio reale di ricondurre la figura femminile a epoche oscure.
Anche per questo, chi pensasse che i fatti narrati da Toews in fondo non riguardano la nostra società poiché si svolgono nel ristretto di una rigida comunità mennonita in Bolivia, si sbaglierebbe di grosso.
(15 dicembre 2018)
Il libro è fantastico e agghiacciante al tempo stesso, talmente lontano da noi da sembrare fantascienza. Eppure contiene tutti gli elementi della nostra realtà di donne “emancipate”…fa pensare, ragionare, preoccupare, perchè il pericolo non è così lontano come vorremmo. Ho interrotto la lettura alle ultime pagine, perchè temo la decisione che le donne prenderanno….e al tempo stesso non so che conclusione augurarmi: rimarranno prigioniere ( anche se alcune sono incredibilmente libere di pensiero malgrado le regole e i divieti in cui sono state cresciute ) o affronteranno un mondo di cui non sanno nulla, ricco di pericoli comprese violenze analoghe a quelle già subite nelle comunità? brava Simona per la bella recensione. Margherita
Ciao Margherita, ti ringrazio per il tuo commento e per le tue considerazioni, con le quali sono d’accordo, su questo libro che ho trovato molto particolare, sia per la storia che per lo stile di scrittura. Io ti consiglierei di arrivare fino in fondo, nonostante ciò che dici sia vero. Le nostre preoccupazioni per il futuro di queste donne sono sicuramente reali e sincere, ma c’è anche da considerare l’interpretazione dell’autrice, Toews, che tende sempre ad alleggerire le storie più disperate. E poi se non arrivi fino in fondo rischi di perderti una rivelazione interessante su uno dei personaggi. Fammi sapere.