Introduzione di Luigi Pratesi
Ogni villaggio ha il suo matto, anche FN314.
Eppure ormai avete imparato a conoscerlo questo piccolo paese del Distretto 13, nulla è come deve essere, nemmeno il suo matto. Lui (o meglio lei) è una vecchia strega che giorno dopo giorno annuncia a gran voce che la fine del mondo è alle porte, che le rane sono la punizione di Dio.
C’è chi ride di lei, chi si tappa le orecchie, chi la ignora. Ma Teresa non è dell’umore giusto per lasciarsi scivolare quelle profezie di dosso come fossero acqua di ruscello. In fondo tutti lo sanno: verità e pazzia sono spesso divise da un confine molto, troppo sottile.
Buona lettura con l’undicesimo episodio della serie, rappresentato in copertina da un disegno di Rosario Gulli.
EPISODIO UNDICI: ALL’ORIGINE DEL MALE
di Caterina Corucci
(Teresa)
“Pentitevi tutti, o sarete puniti!”, urla la vecchia strega, “pentitevi, o pioveranno rane per l’eternità! Le rane entreranno nelle vostre case, nei vostri corpi! Pentitevi!”
La chiamano la vecchia strega, ma non è né vecchia, né strega. Però sembra, quando esce per strada profetizzando punizioni divine. Potrebbe avere cinquant’anni ma pare che ne abbia almeno il doppio, con quelle mani ossute levate verso il cielo e quei capelli lunghi e scarruffati di un colore indefinito, come di acquarello troppo annacquato, lo stesso colore degli occhi.
La sua voce teatrale non inquieta più nessuno; ormai è soltanto un’eco gracchiante che ogni tanto aleggia per il paese. Stamani arriva fin dentro la macelleria e tra i clienti del negozio qualcuno scuote la testa, qualcuno rotea gli occhi, qualcun altro li abbassa. Paolo la deride. Invece a me oggi viene da pensare, chissà che non abbia ragione, la vecchia strega, che possa esserci un collegamento tra i vizi e i peccati della gente di paese e le rane.
Questa sciagura ci mortifica. Si possono fare sogni, progetti, ma poi piovono le rane e tutto si annulla. Sembra davvero un castigo, una condanna. Con tutto quello che di brutto si sono portate dietro: il mutismo di Camilla, le notti insonni a contare i tonfi e immaginare la carne spiaccicata, le vetrate rotte, la puzza di marcio.
A mezzogiorno esco dalla macelleria e vado verso casa per preparare il pranzo, Camilla arriverà tra un’ora, Paolo un po’ dopo, che chiude bottega alle una e mezza. Mentre cammino tra le case di pietra, cerco di riportare a galla certe cose che so di aver saputo ma niente, la memoria non mi aiuta. Decido che nel pomeriggio andrò in biblioteca a fare una ricerca; sì, mi prenderò qualche ora libera. Ma prima devo fare una cosa.
Camilla smise di parlare per lo shock di essersi ritrovata sotto la prima pioggia di rane, se è vero che spesso i problemi dovuti a traumi o emozioni improvvise si risolvono da soli con il ritorno alla normalità, è anche vero che le piogge di rane si ripetono periodicamente, e lei non ha modo di tornare alla normalità, perché la normalità non esiste più.
“Vede”, mi disse qualche mese fa il nuovo psicoterapeuta, “se la ragazza riuscisse a considerare le rane in modo non traumatico, verrebbe meno l’oggetto, ovvero il motivo dello shock, e lei tornerebbe a parlare. Potremmo far sì che le veda in modo compassionevole, per esempio potrebbe curare quelle ferite.”
Ecco perché dopo una pioggia di rane esco con Orange, cerco quelle malridotte ma non troppo, e le metto in una cassetta di legno e vetro che ho costruito, tipo terrario. Il signor Nello è prezioso, non sa neanche cosa ci faccio ma ha capito che le cerco, e ogni tanto me ne porta una o due quasi intatte. Camilla all’inizio non ne voleva sapere, poi pian piano ha cominciato a interessarsene, stecca le zampette, medica le ferite, le nutre. Qualcuna non ce la fa e muore, ma va bene lo stesso, l’importante, secondo lo psicoterapeuta, è che lei si prenda cura di loro. Per ora la terapia non ha sortito alcun risultato, comunque oggi è venerdì e dopo pranzo dobbiamo liberare le rane guarite. Questa settimana possiamo essere soddisfatte: nessun decesso, tre rane liberate. E Camilla ha sorriso, quasi di nascosto. Ma io me ne sono accorta, ho visto i suoi occhi farsi obliqui.
Mio marito ci osserva appoggiato allo stipite della porta, mentre rientriamo dal giardino dove abbiamo lasciato le bestiole. Dovremmo essere dalla stessa parte, ma lui non ha fiducia in questo esperimento e sfodera un ghigno scettico.
Dopo aver annunciato che oggi non andrò in bottega, metto in borsa un blocco e una penna e faccio per uscire, quando vedo una busta spuntare dallo zainetto di mia figlia. Non è da me curiosare, ma lo zaino era aperto, l’ha buttato per terra nell’ingresso come fa sempre quando torna da scuola. Però a questo punto sbircio. Sulla busta una scritta: “A Greg”, è quel ragazzo che gira qui intorno e che non mi piace per niente. Che cos’ha a che fare Camilla con lui? La sento arrivare alle mie spalle, faccio finta di niente e esco di casa. Starò con gli occhi bene aperti.
Arrivata davanti alla biblioteca mi sale il magone, mi manca la biblioteca, ci ho lavorato tanti anni, fin quando Camilla ha smesso di parlare. Ma non avrei potuto mantenere un impiego con orari fissi; all’inizio era tutto un andare dai medici, lo psicologo, il logopedista, la lezione di psicomotoria. Che poi a FN314 non è che ci siano tutti questi specialisti, toccava metterci in macchina e fare chilometri. Lavorare in macelleria con Paolo è stata la soluzione più facile. Però la mattina, quando apro la porta di casa per andare al lavoro, vorrei tanto svoltare a destra, invece che a sinistra verso la macelleria.
La biblioteca non è molto grande, ma abbastanza da richiamare anche studenti dai paesi vicini. Spingo la porta a vetri e vedo dietro il bancone una ragazza che non conosco. Marcella, invece, è nella postazione che per tanti anni è stata la mia. Eravamo amiche, oltre che colleghe, ci vedevamo anche dopo il lavoro, ma oggi, quando si accorge che la persona che sta entrando sono io, distoglie lo sguardo. Non è l’unica cosa tra noi ad essere cambiata da quando me ne sono andata. Anche adesso pare imbalsamata, mentre le chiedo di poter consultare testi che parlino di punizioni divine e di leggende legate alle calamità.
Marcella mi guarda con sospetto e sparisce dentro il monitor del computer, poi scrive qualcosa su un foglio e manda l’altra ragazza a recuperare dei volumi. Aspetto e annuso l’aria, l’ambiente è profumato di carta vecchia e carta nuova, inchiostro per stampante e polvere. Se mai la polvere può essere profumata, è quando si trova sui libri.
Mi trovo un tavolo vicino alla finestra, appoggio i libri e mi siedo. Comincio dalla Bibbia, l’Esodo, le piaghe d’Egitto. Trovo l’invasione delle cavallette, la pioggia di fuoco e ghiaccio. E poi trovo le rane, non piovute dal cielo ma uscite dai corsi d’acqua per entrare nelle case, nei forni per il pane, nei corpi delle persone. Trovo calamità naturali anche nel Corano. Poi apro un volume, “Le punizioni divine spiegate dagli scienziati”.
Volto le pagine, le consumo, come consumo i riccioli che mi arrotolo tra le dita, prendo appunti e torno a leggere, mastico la matita. Mi dimentico del tempo, saranno passate quasi due ore quando sento un verso provenire dal basso, allontano la sedia dal tavolo e guardo sotto. C’è una rana, verde, lucida come se fosse gelatinosa, che mi sta guardando con gli occhi tondi e sporgenti. Balzo in piedi di scatto facendo cadere la sedia all’indietro. Tutti i presenti si voltano verso di me, e mi sembra che mi guardino con occhi da rana, la pupilla nera contornata di giallo. Mi gira la testa, forse perché a pranzo ho mangiato poco, forse mi sono suggestionata con tutte quelle storie. Non metto neanche a posto i libri, infilo in fretta il blocco nella borsa e esco dalla biblioteca correndo, mentre la rana sotto il tavolo continua a fare il suo verso.
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