di Caterina Corucci
Florida 2012. Sul DVD tra le mie mani c’è scritto solo questo. La calligrafia è la mia, salvata dal tratto del pennarello indelebile. Era in una scatola rimasta in cantina dopo l’ultimo trasloco, dove speravo fossero alcuni vecchi CD di musica. Di quello che cercavo niente, ma ho trovato questo disco, a ricordarmi del tempo in cui possedevo una videocamera con cassettina e mi prendevo la briga di salvare le cose su supporto digitale. Per qualche giorno l’ho lasciato sulla scrivania incerta sul da farne, visto che da anni non posseggo più un lettore DVD, finché stamani ho deciso di comprarne uno esterno, da collegare al pc.
Due secondi di ronzio e davanti agli occhi scorrono le vacanze di quella che mi sembra una vita non mia, se non fosse per le mie figlie che rivedo bambine e per varie emozioni che sento esplodere, immediate.
Sul monitor del mio computer rivedo Miami, i grattacieli, la spiaggia e le palme scosse dal vento, rivedo le strade immense riprese da un interno jeep, la pizza con l’ananas e la bistecca, risate, gli alligatori e le mangrovie, rivedo un ponte lunghissimo che si spinge nell’oceano per collegare una dopo l’altra la Florida alle Isole Keys. Poi una zoomata sul cartello mostra il termine della U.S. Route 1, che è l’inizio e la fine degli Stati Uniti. Di là dal mare, novanta miglia a sud, c’è Cuba. E poco prima del cartello eccola, la casa di Hemingway, al 907 di Whitehead Street.
L’abitazione fu acquistata e regalata nel 1931 dallo zio della seconda moglie, Gus Pfeiffer ai due sposini e lo stesso Hemingway la ristrutturò in stile coloniale spagnolo, con belle finestre ad arco, una piscina e un giardino ricco di piante e alberi di limoni, mango e cocco. È una casa affascinante, con un portico e, al secondo piano, un balcone che corre lungo tutta la casa. Ernest l’abitò per dieci anni con la seconda moglie Pauline Pfeiffer. Lì ha scritto alcuni dei suoi più famosi romanzi come “Per Chi Suona la Campana”, “Morte nel Pomeriggio”, “Le Nevi di Kilimangiaro”, “Avere e Non Avere”. Dopo la sua morte la casa è diventata un museo che custodisce l’arredamento e le cose originali, le foto, le prime edizioni dei suoi libri nonché, o bisognerebbe dire soprattutto, gli eredi della casa, gli attuali abitanti, che sono creature particolarissime.
Si tratta di una cinquantina di gatti che presentano un’anomalia genetica per la quale hanno sei dita anziché cinque nelle zampe anteriori, ma possono arrivare ad averne anche sette. Sono gatti polidattili, discendenti della prima gatta dello scrittore, che aveva questa anomalia. Si chiamava Snow White, e fu regalata a Hemingway nel 1930 da Stanley Dexter il capitano di una nave mercantile che faceva la spola tra la costa occidentale degli Stati Uniti e l’Europa. Pare che in Europa i gatti polidattili si trovino solo in Irlanda perché nel resto del continente, durante gli anni bui della caccia alle streghe, furono perseguitati ancor più dei gatti “normali” e praticamente annientati.
Questi di Key West, invece, dopo aver vinto uragani, crisi economiche e una battaglia legale iniziata nel 2003, per la quale i gestori del museo dovettero regolarizzare i gatti come “animali da circo” in quanto vere e proprie attrazioni dell’isola per porre fine alle lamentele dei vicini, sono i veri proprietari della casa museo. Hanno queste zampe larghe che li rendono inconfondibili e nomi celebri, secondo la volontà di Hemingway di chiamarli come scrittori o personaggi letterari. Hanno pure un loro cimitero in una zona del parco intorno l’abitazione; il filmato rallenta su alcune piccole lapidi e riesco a leggere Marlene Dietrich, Mark Twain, Dorian Grey, Errol Flynn, Kim Novak, altri…
Jacque Sands, che è la custode del museo, si prende cura da anni di questi gatti.
Quando nel 2017 l’uragano Irma si abbatté sulle Keys, la donna ignorò l’ordine di evacuazione della zona per aspettare che tutti i gatti fossero rientrati in casa, poi si barricò all’interno con loro. La casa e tutti gli occupanti furono risparmiati dalle forze della natura.
Adesso girano indisturbati per le stanze, anche quelle interdette ai visitatori, sono in ogni angolo. Nel filmato scorrono le immagini dello studio e li scorgo sui libri, poi in camera fra i cuscini, sul letto transennato da catene. E sulla scrivania, dove sono state scritte pagine memorabili, ce n’è uno tigrato che si lecca le zampe fra la macchina da scrivere e un gatto in ceramica, realizzato e donato allo scrittore da Picasso.
Stoppo il filmato su una scena in controluce che mi piace tanto: c’è un gatto bianco e nero e mia figlia che lo accarezza, davanti alla portafinestra che dà sul balcone.
Salvo alcuni momenti fotografando i “fermo immagine”. La qualità che ne risulta non è ottima, ma ho voluto inserire nell’articolo la mia esperienza vera; soltanto per la copertina ho utilizzato una foto che non ho fatto io.
Lo scrittore aveva una vera passione per i gatti, arrivò ad averne circa ottanta e di questi animali parla in alcuni dei suoi racconti più belli, come Gatto sotto la pioggia e Vecchio al ponte, ma ebbe in contemporanea anche pavoni, cani, colombi e tartarughe. La sua immagine di cacciatore contrasta con quella di lui amante della natura, e questo è un fatto di cui si potrebbe parlare a lungo. Cercando in rete altre connessioni fra gli animali di Hemingway e le sue opere sono incappata nel libro di Marco Mastrorilli Il senso per la natura di Hemingway. Leggo che Mastrorilli è un grande studioso di Ernest da anni, ha un canale Youtube, un gruppo Facebook e un sito web (www.passionehemingway.it) a lui dedicati. Decido di contattarlo pensando che possa darmi delle informazioni che magari non si trovano facilmente in rete. E così è.
Marco ha accettato volentieri di fare una chiacchierata e nella lunga videochiamata mi racconta aneddoti poco o per niente noti, mi dà spunti interessantissimi sul rapporto fra l’Hemingway uomo, personaggio e scrittore, tutte cose che varrà la pena di approfondire più avanti.
Riguardo a Key West mi racconta che nel 2022 è stato ritrovato un baule pieno di suoi scritti, lettere, racconti inediti e foto, effetti personali che dopo il fallimento del suo secondo matrimonio Ernest lasciò allo Sloppy Joes’s Bar, il locale da lui preferito nella zona.
Un altro baule pieno di materiale letterario fu ritrovato a Parigi nei sotterranei del Hotel Ritz, dove lui era solito rifugiarsi a bere. Periodicamente riemergono vecchi manoscritti, lettere e oggetti appartenuti al Nobel americano. Nella nuova edizione de Il Vecchio e il Mare, tradotta da Silvia Pareschi, è stato inserito un racconto inedito dal titolo Pursuit and Happiness, scoperto dal nipote dello scrittore, Séan Hemingway. Il racconto ha una grande connessione con il romanzo, sembra anticiparlo quasi come fosse stato un esercizio preparatorio.
Un’altra curiosità interessante che Marco mi ha raccontato mi ha catapultata nell’atmosfera avvolgente ed elettrizzante della Parigi degli anni ’20. In quel momento la capitale francese era il cuore dell’arte, della cultura e della letteratura. Hemingway visse lì con la moglie per qualche anno, in un piccolo appartamento nel Quartiere Latino. A Parigi conobbe tra gli altri James Joyce, Francis Scott Fitzgerald e la moglie Zelda, Pablo Picasso, Man Ray e Gertrude Stein che proprio ad Hemingway confidò che quei giovani che disserrano miti dell’arte e della letteratura (Ernest all’epoca era poco più di un ventenne) erano una generazione perduta.
La Lost generation citata proprio da Hemingway in Festa Mobile diverrà l’etichetta di quel folgorante e mitico periodo parigino.
Tornando alla narrazione, Hemingway si era recato a Ginevra in Svizzera per un lavoro da cronista e la prima moglie, Hadley Richardson, prese il treno da Parigi per raggiungerlo, portando con sé una valigia contenente i suoi manoscritti, i racconti sui quali aveva lavorato a lungo e la sua macchina da scrivere. Ebbene il prezioso bagaglio andò smarrito proprio alla stazione Gare de Lyon, senza rimedio, giacché c’erano anche le copie in carta carbone dei racconti. Dopo di questo lo scrittore entrò in un periodo di profonda frustrazione e scoramento che per diversi mesi lo fece smettere di scrivere. Esiste un romanzo “L’inedito di Hemingway – un intrigo letterario”, in cui l’autore David Belbin fantastica sul possibile ritrovamento di uno di questi racconti perduti, ma invero è il protagonista del romanzo ad averlo scritto, falsificandolo e spacciandolo per autentico.
In realtà dalla sua morte avvenuta per suicidio nel 1961, sono diverse le opere postume che hanno trovato spazio per essere pubblicate e siamo certi che nel futuro riemergerà ancora qualcosa. Basti pensare ai testi che sono stati pubblicati postumi, come il romanzo Festa Mobile, nel millenovecentosessantaquattro curato con grande dedizione dalla quarta moglie e vedova Mary Welsh, ed oggi ritenuto uno dei capolavori più riusciti del romanziere americano.
Proprio Mary Welsh ha donato tutto il materiale testuale e audiovisivo di Ernest Hemingway alla John F. Kennedy Presidential Library che contiene carteggi con migliaia di lettere, manoscritti, documenti personali e molto altro.
Mastrorilli è, tra l’altro, membro della The Hemingway Society che si occupa anche di documentare, studiare e catalogare tutto il materiale letterario conservato.
Sono in videochiamata già da un’ora ma mi sembra di aver appena trovato la punta di un iceberg. Proprio l’iceberg che ispira la sua teoria di scrittura ancora apprezzatissima nelle scuole di scrittura creativa di tutto il mondo. Si passa da un argomento all’altro, senza riuscire ad esaurirne uno, tanto sono vasti. Poi torniamo ai gatti e da lì ai pesci di Hemingway, intorno ai quali Mastrorilli sta scrivendo un libro che sarà pubblicato prossimamente.
Parliamo di un Hemingway pescatore ma anche naturalista, studioso di fauna marina, con una tale esperienza “sul campo” che i più importanti ittiologi e ricercatori dell’epoca collaboravano con lui, raccogliendo sulla sua stessa barca dati biometrici, morfometrici ed etologici sui grandi pesci. L’Accademia di Scienze Naturali di Filadelfia registrò un pesce scoperto nel 1935 con il nome di Neomerinthe Hemingway, ringraziando in questo modo lo scrittore per il suo prezioso apporto tra il 1934 e il 1936.
È proprio qui, sulla figura di Hemingway cacciatore che stride con quella dell’uomo amante della natura, che si intreccia con l’immagine dell’autore di pagine altissime e perfette, che scrive di corride e chiede scusa al marlin, di un uomo che possedeva ottanta gatti, che in una foto sorride davanti ad un leone morto e in un’altra foto nutre un cucciolo di impala insieme alla moglie Mary Welsh, che decidiamo di stoppare la conversazione solo per riprenderla più avanti.
“A proposito di mogli”, mi dice Mastrorilli nel salutarmi “Ernest ne ha avute quattro, ma di amanti molte di più… poi ne parliamo….”
C’è un mondo di cose che voglio ancora scoprire di Hemingway.
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