di Ingrid Atzei
L’altra sera, ero in spiaggia a godermi l’arancio dorato del tramonto che declinava, cheto cheto, in un rosa sfrangiato fino a dissolversi definitivamente in una penombra che s’è fatta stellata. Quattro sfumature di cielo che hanno visto sfilare davanti a me, nell’ordine: i vacanzieri in partenza per far ritorno nei loro alberghi, farsi una doccia e fiondarsi in un locale per consumare la cena; gli appassionati delle fotografie crepuscolari che un tramonto come quello non se lo sarebbero perso per niente al mondo; gl’innamorati stretti mano nella mano che ne approfittavano per passeggiare romanticamente mentre la brezza marina scivolava, capricciosa e curiosa, tra i loro abiti leggeri; e i fidanzati passionali che rassicurati dalla complice oscurità si scambiavano effusioni preludio di ben altro appena si fossero ritrovati soli… dovunque fosse stato. Così mi sono ritrovata a riflettere su quanto fosse privilegiato, in quel momento, il mio punto di vista.
Ormai sotto quel cielo di stelle che non volevo ceder del tutto agli amanti passionali, dal momento che di spiaggia ce n’era tanta per tutti, guardando in alto, mi son chiesta cosa si potesse vedere dalle stelle puntando lo sguardo sulla terra. Sul serio, voglio dire; non sto facendo filosofia per giungere a parlare delle cappe scure dell’odio umano. Mi chiedevo proprio: qual è il punto di vista delle stelle?
Impossibile saperlo, direte voi.
E, siccome avete ragione, alla fine hanno vinto gli amanti passionali e mi sono incamminata verso l’auto, lasciando loro tutta quella tranquilla distesa di minuti granelli di silicio bianco velati di notturna atmosfera.
Cionondimeno, il tarlo del punto di vista s’era insinuato nella mia mente e, rimugina che ti rimugina, il mio quesito iniziale si è trasformato in: quanti punti di vista può offrire un autore singolo in un’unica trattazione o narrazione? Immagino stiate pensando che, a questa domanda, è più agevole dare una risposta. Insomma, lo sappiamo, quando si ha davanti la pagina vuota, si scrive in prima persona, in seconda, in terza; tutto perfetto. Ma, a ben vedere, il punto di vista può essere molteplice per ogni persona. Il mio punto di vista guardando il cielo può essere romantico o astronomico, per esempio. O, osservando qualcuno fare la spesa, posso utilizzare un punto di vista improntato al prezzo o alla notorietà delle marche dei prodotti che vedo nel carrello. O, ancora, osservando l’abbigliamento di una persona, il mio punto di vista può essere interessato ai tessuti ed alla foggia degli abiti o a quanto donino su chi li indossa… se gli donano; perché, perfidamente, potrei anche valutare che non gli donino affatto. E questo potrebbe essere un ulteriore punto di vista, quello di chi s’impegna a trovare dei difetti. E, di ‘sto passo, potrei continuare all’infinito. Così, tornando al mio quesito, appena sono rientrata a casa, ho sfilato un po’ di volumi dalla libreria e ne ho aperto a caso le pagine per scoprire quanti più punti di vista riuscivo. Speravo che qualcuno, in un modo o nell’altro, mi mostrasse quello delle stelle. E… non me l’aspettavo davvero, ma seduta sul pavimento, circondata da libri pieni di segni di matita, ho scoperto di avere il firmamento a portata di mano. Altro che punto di vista delle stelle! Ogni volume, qualunque pagina aprissi, mi offriva un nuovo spunto. Perciò ho pensato che dovevo condividere questa scoperta con qualcuno; con voi, per l’esattezza. Ma ho dovuto, necessariamente, fare una scelta; tutto il firmamento potevo mai condensarlo in poche pagine? Così, mi sono concentrata su tre soli volumi in particolare, anche se il gioco m’è piaciuto e ho accumulato talmente tanti appunti che, almeno uno dei volumi, penso che lo utilizzerò per lavorare su nuovi temi. Dunque, vi sto avvertendo, l’elenco di punti di vista che segue è il frutto di una sforbiciata studiata ma i volumi scelti contengono molte molte molte più stelle…
Cominciamo con un paio di punti di vista tratti da Gente in cammino, scritto dall’algerina Malika Mokkedem. Quasi un’autobiografia dell’autrice, questo volume, racconta due storie di difficile emancipazione, quella di un popolo e quella di una donna che intende realizzarsi e per farlo dovrà affrontare, come tante volte accade nella vita, scelte difficili e sacrifici.
Innanzitutto, dalla voce di Mokkedem, vi propongo il punto di vista delle opposte fazioni:
I mujàhidìn attaccavano senza pietà i collaborazionisti. Le loro morti dovevano servire di esempio […]. Sul fronte dell’esercito francese, la tortura si pasceva della propria ignominia. […] La vita umana era messa all’asta, la si vendeva a ogni delazione, a ogni abiezione. La gente diventava sospettosa, muta riguardo alle proprie opinioni e a quel che faceva. Nessuno era sicuro che il fratello, il cugino, il vicino o l’amico, non l’avrebbe denunciato o consegnato, un domani, se sottoposto a tortura.
La guerra tra il Fronte di Liberazione Nazionale da una parte e l’esercito dei colonizzatori francesi dall’altra è una guerra brutta come lo sono tutte le controversie belliche. Incattivisce, quando già non è mossa da cattiveria preventiva, e si alimenta di crudeltà che si spingono sempre oltre. Tecnicamente, quello che una volta non si comprendeva bene cosa fosse, quella crudeltà troppo spesso gratuita, si chiama combat-stress e integra al proprio interno un ventaglio di comportamenti molto differenti tra loro e che possono presentarsi mentre i soldati sono ancora nei teatri di guerra, magari con sintomatologie facilmente camuffabili (come la crudeltà rivolta verso i civili inermi o verso i militari arresi e fatti prigionieri). E, d’altra parte, può manifestarsi con platealità non più dissimulabile una volta terminato il conflitto, quando il contesto non può giustificare ancora condotte che andavano attenzionate molto tempo prima. La spietatezza esibita in corso di conflitto, in ogni caso, genera ansie e timori tra tutta la popolazione che si ritrova, proprio malgrado, a doversi schierare perché tirata in ballo. Sono le cosiddette guerre totali, quelle dove tutto il popolo è in guerra e non solo i professionisti militari. Oggi, le guerre sono sempre più totali ed andrebbero scongiurate, piuttosto che alimentate con la scusa dell’esportazione della democrazia.
Ma, detto ciò, ora, per converso, vi propongo il punto di vista obiettivo; quello che non utilizza il contesto come giustificazione e, piuttosto, lo analizza:
Nel mese di luglio, tutte quelle ville vennero occupate da Algerini. Com’era giusto, le presero d’assalto appena proclamata l’indipendenza. […] Passare da un tugurio di tùb ad una casa in muratura, con pavimenti di piastrelle, acqua corrente e giardino, era di per sé una rivoluzione. Ma qualsiasi rivoluzione, per quanto nobile, ha le sue stragi. Non si bruciano così rapidamente tante tappe senza fare pasticci.
Questo frammento contiene in sé una verità talmente lapalissiana che ogni commento appare superfluo. Emanciparsi è un processo lungo, sempre. Non comprenderlo significa comportarsi come degli sbronzi al volante. L’ebbrezza fa perdere di vista il limite e, con il limite, il decoro ed il bene-essere, esattamente quello che gli occupanti abituati ai tùb perdono quando s’impossessano dei bei quartieri residenziali che, in precedenza, anelavano e che, conquistati, abbruttiscono con disordinata disinvoltura.
Come detto, potrei proporre davvero centinaia di stralci tratti da questo volume ed individuare per ognuno un differente punto di vista ma finirei per trascrivere il libro; perciò, adesso, chiudo il volume della Mokkedem e vi propongo altre due prospettive differenti tratte, piuttosto, dal saggio di Maria Rosa Cutrufelli intitolato Il denaro in corpo. Il testo è una ricerca sul mondo della prostituzione che, attraverso interviste ed analisi condotte su precedenti studi, arriva a delineare un quadro complesso ed inaspettato, almeno per certi versi, del variegato mondo del sesso a pagamento.
Inizierei con il proporvi il punto di vista ribaltato:
Perché lo fai? È questa la fatidica, eterna domanda che l’uomo, il mondo in genere, rivolge alla prostituta. Difficilmente, e solo negli ultimi anni, la domanda è stata rovesciata e qualcuno ha chiesto al cliente: tu, perché lo fai? Che cosa ti spinge a scambiare denaro con sesso?
Certo, cambiare il punto di vista, mostra sempre l’altra faccia della Luna e ci aiuta a farci un quadro più definito, o almeno ci stimola a farlo, di questo mondo che a tanti tra noi fa paura, a tanti altri incuriosisce, a tanti altri ancora suscita il desiderio di far finta che non esista. Per questo motivo, tra i tanti possibili punti d’osservazione sul tema che pure potrei trovare, ve ne propongo uno che è un particolare punto di vista professionale, quello allargato, parente stretto stretto di quello sociale:
L’ordine sociale pretende di tenere i due mondi, quello delle donne perbene e quello delle donne permale, nettamente separati. Si sono studiati mille modi, nel corso dei secoli, per rendere immediatamente riconoscibili le donne pubbliche: il velo giallo delle prostitute fiorentine, nel 1500, o, viceversa, il divieto a Venezia d’indossare taluni abiti e gioielli (precisi, puntigliosi i lunghi elenchi del Magistrato delle Pompe). Anche la segregazione serviva a distinguere e classificare.
Distinguere ha il solo scopo di difendere, di creare delle distanze, di non mischiare “il sangue”, di renderci sicuri che esiste un noi e un loro. Tuttavia, per chi avesse desiderio di approfondire la tematica, nel volume si mostra un universo più liquido, più sfumato, meno netto che rende conto di una mescolanza, per certi versi soffusa, tra perbene e permale.
Ora, concluso il breve excursus sul mondo del meretricio, mi piacerebbe offrirvi come spunti di riflessione altri due punti di vista tratti da Storia proibita di una geisha, la biografia di Mineko Iwasaki, scritta in collaborazione con Rande Brown – scrittrice americana che si occupa di scambi di natura culturale con l’Oriente – nella quale la più famosa geisha degli anni ’60 e ‘70 si racconta e racconta la vita di queste particolarissime e, generalmente, poco conosciute artiste esperte nel canto, nel ballo, nella musica, nella meravigliosa cerimonia del tè e nell’intrattenimento colto e raffinato.
Iniziamo con il punto di vista camuffato che, in realtà, è parte della professione e della rigida educazione delle geishe. A tal proposito, vi propongo quest’esempio:
In alcuni casi mi accadde di dover essere gentile con persone che trovavo fisicamente repellenti. Era la situazione più complicata perché la repulsione è una reazione difficile da nascondere. Ma il cliente aveva pagato per la mia compagnia. Il minimo che potessi fare era trattare tutti con cortesia. Nascondere le proprie simpatie e antipatie dietro uno schermo di gentilezza è una delle sfide imposte dalla professione.
Questa severità è comprensibile, se vista con gli occhi di una geisha. Cionondimeno, tra tanto rigore che, comunque, porterà l’artista ad abbandonare le scene prima ancora d’aver compiuto il suo trentesimo anno d’età, emerge anche il punto di vista legato al sentimento. Un sentimento, in verità, che spiazza, perché da una parte fa sorridere e dall’altra appare intriso di recondita cattiveria più che di quello che potrebbe passare per “amor patrio”. Ecco, dunque, il punto di vista campanilista di Mineko:
[…] Il duca mi diede il permesso di parlargli. […] La regina non aveva ancora toccato nulla nel suo piatto. Continuai a parlare con suo marito avvicinandomi lentamente a lui. Simulai un’aria d’intimità che immagino fosse impercettibile per tutti, ma evidente per una persona in particolare. […] «Mine-chan, che hai combinato ieri? All’ozashiki.1» «Signor Ishikawa, posso chiederle una cosa? Ho visitato un gran numero di paesi stranieri e ho sempre cercato di mangiare le cose che il mio ospite ha avuto la cortesia di servirmi. Rifiutare sarebbe stato scortese e, se io fossi in visita di Stato, sarebbe potuto essere interpretato come un affronto alla nazione. Per non parlare di tutte le persone che hanno lavorato così duramente per preparare il pranzo. Cosa ne pensa? Non è d’accordo?»
Vista da spettatori, la scena fa sorridere; Mineko s’impegna per far litigare la nobile coppia solo perché ritiene ingiusto il comportamento della regina a tavola e poi pretende, sebbene con scaltra dissimulazione, che il proprio punto di vista sia condivisibile dal capo dello staff imperiale, il signor Ishikawa, il quale, molto politicamente corretto, evita di rispondere alla sottile provocazione della geisha.
Ebbene, con quest’ultimo spunto di riflessione, ho concluso la mia carrellata di punti di vista che, naturalmente, è davvero infinitesima rispetto alle reali possibilità che le letture ci offrono e che, in effetti, giocando con le forme, potremmo considerare contenuti più dentro sfere che dentro i parallelepipedi che chiamiamo libri. Penso alle sfere visualizzando infiniti punti equidistanti dal fulcro della narrazione. Talmente multisfaccettata, questa, da perderci la testa e, contemporaneamente, goderne avidamente! Proprio come un cielo stellato ma contenuto dentro innumerevoli pagine.
1 Banchetto durante il quale le geishe si esibiscono nei loro spettacoli.
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