di Annarosa Bartolini
Sotto il vulcano è un romanzo di Malcom Lowry pubblicato nel 1947, che si svolge in Messico in un’unica giornata, il 2 novembre 1938 e narra la storia dell’amore di una coppia, il Console inglese Geoffrey e sua moglie Yvonne.
Recentemente è stato pubblicato in una nuova traduzione di Marco Rossari, ed è curioso come dopo aver tradotto questo libro, suggestionato dal lavoro sulle pagine di Lowry e dai fantasmi dei protagonisti, abbia sentito la necessità di scrivere un libro tutto suo, L’ombra del vulcano, in cui evoca un suo amore perduto.
Sotto il vulcano infatti ha il potere di riportarci ad amori assoluti e alla ricerca di una felicità non ragionata, ma piena, pulsante. Nelle pagine del libro, tutta la natura partecipa a questa vitalità estrema e disperata. Due vulcani dominano il paesaggio, gli animali accompagnano i personaggi come sentinelle, sono descritti con precisione e osservati con attenzione, dai cani randagi agli uccellini posati sui rami degli alberi in giardino, dai galli che annunciano l’alba per tutta la notte, agli strepiti rochi degli avvoltoi, simili a grida d’amore, fino allo sguardo fisso, proustiano e poligonale degli scorpioni immaginari. Anche le piante sembrano animate: banani osceni e risoluti convivono con peri coraggiosi e ostinati, il girasole che guarda storto il Console, “come Dio”, mentre una prigione appare misteriosamente sullo sfondo e le nuvole bianche nel cielo corrono come idee fluttuanti nella testa di Michelangelo e una ruota luminosa gira al contrario.
Tutto concorre a esprimere la forza della malinconia e del dolore, la forza del passato e dei popoli: persone diverse e distanti eppure simili, la concentrazione di due indios che camminano in una nuvola di polvere sembra quella di una “coppia di universitari che d’estate all’imbrunire passeggiano per la Sorbona”, le voci, i gesti delle loro sudicie mani aggraziate, appaiono incredibilmente eleganti, delicati, il loro portamento fa pensare alla maestà dei principi aztechi, i loro volti ricordano gli oscuri bassorilievi delle rovine yucateche.
Questo libro è stato definito La divina commedia ubriaca e l’alcol infatti è uno dei protagonisti con cui il Console continuamente dialoga, combatte; può essere inferno perché lo separa da Yvonne, ma è paradiso nell’evocazione dell’immagine delle cantine la mattina presto: “nemmeno i cancelli del cielo spalancati per accogliermi potrebbero trasmettermi una gioia così celestiale e complessa e disperata quanto la serranda che si alza di schianto”, Geoffrey ama il modo in cui la cantina si anima alla luce del giorno, con i clienti abituali che lui ha osservato così tante volte da conoscerne i particolari più nascosti. “Ah nessuno meglio di lui sapeva quanto tutto ciò fosse bello, il sole, la luce del sole, i raggi del sole che inondavano il banco del Puerto del Sol, che illuminavano il crescione e le arance, o cadevano in una singola striscia dorata quasi nell’atto di concepire un Dio, cadendo come una lancia su un blocco di ghiaccio.”
Yvonne compete con l’alcol per l’amore del Console, per la sua attenzione; lui è abituato a mentire, si ritaglia spazi e tempi per poter bere, cerca di stare da solo, rimanda il confronto. Quando sono soli e lontani si confessano, si pentono, chiedono perdono, ma quando sono insieme si evitano o si fronteggiano con rabbia, si accusano a vicenda. Le loro lettere sono struggenti, piene d’amore, eppure non vengono lette. Lui scrive: “sono perseguitato dal pensiero delle tue canzoni, del tuo entusiasmo e della tua allegria, della tua semplicità e della tua complicità, delle tue mille doti, della tua basilare saggezza”, ma la lettera rimarrà in un libro e lei non saprà mai che lui le ha chiesto: “cosa succederà ai nostri cuori? L’amore è l’unica cosa che dia un senso alle nostre povere gesta su questa terra”.
È una storia di incomprensioni, accuse e necessità di perdono. Il Console e Yvonne sono bugiardi, spietati, crudeli e insieme pieni di tenerezza e pietà, proiettano i loro sentimenti sulle cose, paragonano la loro desolazione al disfacimento di un sedimento glaciale di una grande roccia spaccata dagli incendi dei boschi, Yvonne ha l’istinto di guarire quella roccia divisa, così come cerca di curare il giardino o di liberare l’aquilotto chiuso in gabbia. Entrambi vorrebbero salvare il loro amore, ma non lo dicono mai al momento giusto, quando l’altro è pronto ad ascoltare. I dialoghi sono solo in parte veri, la maggior parte sono interiori, c’è un senso di sospensione tra il desiderio e la realtà e i protagonisti sono incalzati da voci che rappresentano un teatro e una lotta tra le varie parti di sé, del loro modo di essere. La natura parla, invia messaggi, “sei un traditore” dicono gli alberi al Console; come facevano i cipressi di Bolgheri con Giosuè Carducci, le voci consigliano, scoraggiano, mettono a nudo le anime dei protagonisti mentre loro agiscono spesso in senso opposto e contrario ai loro pensieri e ai loro desideri.
Anche la caduta del Console, il suo precipitare, ha evidentemente un significato generale, legato alla guerra, alla decadenza della civiltà, e questo è stato messo in evidenza più volte nei commenti che sono stati fatti sul libro, eppure quello che colpisce è l’universalità delle emozioni, dei sentimenti, calata in personaggi unici, capaci di richiamare il nostro vissuto, le debolezze e le speranze di ognuno di noi, attraverso piccoli atti come una passeggiata, il soffermarsi sulle piccole cose quotidiane.
La tragicità è a tratti contrapposta all’ironia: le lettere di Yvonne, tristissime e piene di vita, che pure colpiscono il Console, lo inducono però a sospettare della loro autenticità, ci trova rimandi alle lettere di Eloisa ad Abelardo, vi cerca immagini false o troppo elaborate, l’immagine del lago è in realtà un tetto di cocci di bottiglia che riflettono il sole.
Entrambi sognano una casa vicino al mare, che contenga i loro oggetti preferiti e sia carica di promesse, di speranze giovanili come le vacanze estive di un ragazzo. La casa è descritta nei minimi particolari, con la natura e gli animali amici, con lo spirito della tenerezza e della grazia che aleggia su di loro a custodirli e a proteggerli. Ricorda il rifugio del Maestro e Margherita, quando camminavano insieme mentre la sabbia frusciava sotto il loro piedi e lei gli sussurrava: “ascolta la quiete, ascolta e godi ciò che non ti hanno mai concesso in vita: il silenzio”. Anche la loro casa era accogliente, era ornata da una vite che s’attaccava e s’alzava fino al tetto e Margherita prometteva: “so che la sera ti verranno a trovare coloro che tu ami, che ti interesseranno e non ti inquieteranno.” Anche il Maestro come il Console, ha bisogno di quiete e di sonno “ti addormenterai col sorriso sulle labbra. Il sonno ti rinforzerà e saggi saranno i tuoi pensieri. E mandarmi via non potrai. Il tuo sonno lo proteggerò io.”
La musica accompagna questa lunga giornata, il brano di Strauss che Yvonne e Geoffrey amavano, la chitarra di Hugh, il fratellastro di lui; Hugh e Laruelle, un regista francese, sono gli altri personaggi del libro. Entrambi sono stati amanti di Yvonne e sono invidiosi e gelosi del Console, che nonostante le bassezze e l’alcolismo, che loro conoscono bene, ha una sua grandezza. Nelle ultime pagine la musica però diventa infernale, acquista un ritmo forsennato e ci fa precipitare in una specie di incubo, il fuoco brucia la casa dei sogni e la lettera del Console, il fuoco di un accendino che sembra già acceso nella tasca, quasi avesse una luce interna, come un espediente cinematografico, come la luce che illumina il bicchiere di latte ne Il sospetto, o la valigetta di Pulp Fiction
Come quando si guarda un film e si ha una visione completa della storia di cui i protagonisti conoscono solo una parte, soffriamo, viviamo le emozioni dei protagonisti, partecipiamo alle loro emozioni, ad esempio quando il Console infine riesce a leggere le lettere di Yvonne in cui lei gli dice di volere quei figli che prima gli aveva negato: “voglio dei figli, al più presto, subito li voglio. Voglio che la tua vita mi riempia e mi scalci nella pancia. Voglio la tua felicità poco sotto il mio cuore e le tue sofferenze davanti ai miei occhi e la tua pace nelle dita della mia mano”. Il Console a sua volta vuole Yvonne, vuole perdonarla ed essere perdonato, ma non sa come raggiungerla. Le parole di lei vogliono salvarlo, usare quella forza che lui soffoca “che si trova dentro il tuo corpo e ancor più infondo alla tua anima, riportami intatta l’integrità mentale che se n’è andata quando mi hai allontanata, quando hai mosso i tuoi passi verso un’altra strada, un cammino oscuro che tu hai percorso da solo.”
Potrebbero esserci decine di altre cose da dire su questo libro così evocativo e particolare, ma la cosa che più ci colpisce, in ogni pagina, in ogni riga, in ogni dialogo e in ogni lettera, è l’irrompere di questa forza estrema, dolorosa, nostalgica, passionale, piena d’amore, questa vitalità incontenibile e incompiuta, come la potenza quieta e imprevedibile del vulcano.
No se puede vivir sin amar. Queste parole, scritte sul muro di una casa, riassumono l’anima di Lowry e ci trasmettono l’invito non solo ad amare ma a sbagliare, a vivere; così come afferma Tolstoj in Guerra e pace: “Tutto quello che io comprendo, lo comprendo perché amo.”
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