Lunedì 22 gennaio, fa buio presto, la brezza è pungente, convive chissà come con un principio di nebbia. Davanti al locale un gruppetto di ragazzi, un mojito, uno spritz e qualche calice semivuoto. Sembra l’incipit perfetto per una serata di stanca, di quelle che non passano più. Nulla di più lontano dal vero.
Sono solo le 8, ma il Caffè Letterario Le Murate inizia pian piano a riempirsi: non è una serata come le altre, no che non lo è. Nella sala interna, su un piccolo palco, sta per prendere vita una stand-up comedy in salsa fiorentina.
Eccoci qua, dunque, foglio e penna per prendere appunti, un telefono per fare foto e una sala strapiena per sentire la tensione che cresce. Non siamo davanti alla tv, i dieci concorrenti sono confusi tra il pubblico, chi con un bicchiere di birra in mano, chi con le unghie tra i denti o un tremolio della mano a tenergli compagnia.
Nata da un’idea di Mirko Tondi la serata consente a esordienti e scrittori di vedere le loro opere prendere forma. La magia delle parole è questa: veicolare sogni, pensieri ed emozioni.
In palio non c’è solo una pubblicazione su Offline e un corso di formazione offerto dall’altro sponsor della serata, la Mummu Academy, ma fama, prestigio, autostima e… il sorriso degli amici. Perché si può ridere di qualcuno, si può ridere grazie a qualcuno ma non c’è cosa migliore di ridere insieme a qualcuno.
Presentati dall’attrice fiorentina Ilaria Filipponi, si sono alternati sul palco Silvia Mazzocchi, Paolo Orsini, Francesco Martalò, Roberto Becattini, Brunetto Magaldi, Andrea Zavagli, Miriam Ticci, Claudio Di Filippo, Eleonora Falchi e Christian Ronga. Dieci testi, dieci comedian, dieci applauditissime performance.
Purtroppo, solo tre vincitori: Claudio Di Filippo, con il suo Poispiana, ha conquistato il pubblico (vero giudice della selezione) e il primo premio con i giusti tempi comici, un buffo copricapo per ingraziarsi la sala e battute a raffica. Il secondo gradino del podio se lo è aggiudicato Brunetto Magaldi, con Educazione sessuale, il terzo Francesco Martalò, con Folgoratissimo.
Abbiamo fatto un breve chiacchierata con loro, partendo dal mattatore della serata: Claudio Di Filippo.
Sul palco abbiamo apprezzato la tua capacità istrionica: intonazione, tempi comici, uso consapevole del linguaggio del corpo. Nel tuo curriculum troviamo teatro comico, commedia dell’arte, improvvisazione, ma ti scopriamo anche stand-up comedian. Quale è la forma artistica in cui ti senti più a tuo agio?
Il mio è un curriculum da non professionista e questo mi ha permesso di scegliere sempre cosa volevo o non volevo fare sul palco, spaziando tra forme e registri diversi, compreso il teatro drammatico. Ma lo sketch comico, la battuta fulminante, è senz’altro la forma che mi viene più spontanea… anche nella vita di tutti i giorni! Poi si sa, non si può far ridere davvero senza aver conosciuto la tristezza più profonda.
È evidente l’empatia che si è creata tra te e il pubblico. Che sensazioni ti suscita avere il pubblico a pochi passi, percepirne le emozioni e sapere che le loro risa sono tutte per te, per qualcosa che hai scritto e che stai interpretando?
Nel mio “manifesto artistico” descrivo il Teatro – e per estensione il palcoscenico – come “il più bel gioco del mondo”, un gioco di cui il pubblico fa parte in modo imprescindibile. Riuscire a innescare uno scambio di emozioni provoca in me sensazioni fortemente contrastanti, una sorta di “delirio di onnipotenza”. Ma una volta sceso dal palco prevale un senso di profonda gratitudine verso gli spettatori per avermi concesso tanto potere.
Tra le altre cose, tieni un podcast, “Perfetti sconosciuti”, in cui leggi racconti di autori non ancora famosi. Cosa ti spinge a farlo? Quanto è diverso interpretare le tue parole e quelle di altri?
Come scrittore non ho mai avuto un seguito né pubblicato libri. Eppure, raccogliendo negli anni vari scritti di amici e parenti, ho capito che ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, scrive qualcosa di universale che tutti possono apprezzare. Ecco perché nel podcast dono la mia voce a pagine di diario, poesie e racconti altrui, spesso abbandonati in un cassetto o affidati in modo effimero ai social. Certo, ogni volta che interpreto un mio scritto è la chiusura di un cerchio, la soddisfazione massima. Ma la reazione entusiasta di chi, pur senza velleità letterarie, ascolta per la prima volta un proprio testo interpretato in modo attoriale mi fa capire che quest’idea era necessaria. Anche per la mia anima di scrittore!
Non potevamo mancare di raccogliere anche le impressioni di Brunetto Magaldi, la cui carica emotiva che ha conquistato tutti.
Quando hai saputo di essere tra i premiati ti abbiamo visto emozionato. Che cosa hai provato?
Quando ci è stato detto che il mio racconto era stato giudicato meritevole del secondo posto, sono rimasto dapprima sorpreso perché non me l’aspettavo e poi, non lo nego, anche un po’ commosso. Comunque, molto molto contento.
Il tuo racconto descrive un’esperienza quotidiana. Comicità e serietà hanno confini sottili, spesso è questione di punto di vista. Pensi sia importante saper riconoscere il bello e il comico in ciò che viviamo tutti i giorni?
Sì, penso che sia importante cercare di trovare sempre qualcosa di bello, di buono e di comico anche se non sempre ci si riesce. Io spesso, in molte occasioni, cercando di trovarne il lato positivo, mi cimento in motti di spirito e battute che però, non sempre, vengono compresi. Anche mia moglie, con la quale convivo da oltre 48 anni, non sempre capisce se scherzo o faccio sul serio.
Terzo classificato, ma non per questo meno divertente, è stato il monologo “Folgoratissimo” di Francesco Martalò. Anche lui evidentemente emozionato sul palco.
Scrivere non è la stessa cosa di recitare un testo. Quanto è difficile passare dalla scrittura all’interpretazione davanti ad un pubblico?
Scrivo da tanti anni e da un paio mi sono avvicinato al teatro. Grazie a questo contest ho potuto portare per la prima volta un mio pezzo sul palco: non vedevo l’ora di farlo! C’era un po’ di agitazione ma la voglia di esibirmi era molto più grande. “Scrivere è annerire una pagina bianca; fare teatro è illuminare una scatola nera”.
Ti abbiamo visto alle prese con un testo comico, è davvero questa la tua passione o ti piacciono anche altri generi? Come è nata la passione per la scrittura?
Forse i dialoghi comici sono il mio marchio di fabbrica (ne ho scritti veramente un casino!) ma scrivo anche racconti brevi e mi piace sperimentare nei generi. La mia passione per la scrittura è nata una decina di anni fa, direi come terapia per stare meglio. Posso stare mesi senza scrivere ma a un certo punto ne sento l’esigenza e ho come una scarica di adrenalina mentre lo faccio, spesso rido da solo rileggendo quello ho scritto! Un paio di anni fa ho seguito un corso di scrittura creativa per affinare la tecnica, è un hobby che mi fa stare bene. Hemingway diceva “Non ci vuole niente a scrivere. Tutto ciò che devi fare è sederti alla macchina da scrivere e sanguinare”, sono d’accordo con la prima parte ma poi io faccio il contrario: sto meglio, guarisco.
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