di Caterina Corucci
Ho scoperto per caso una storia straordinaria che da Campiglia Marittima è arrivata in Francia, in America, in Giappone e oltre. Eppure ce l’avevo sotto il naso, nel luogo in cui mi sono trasferita da pochi mesi.
Già la prima volta che andai a prendere mia figlia notai quella statua all’interno della stazione, un cane che guarda il binario numero uno, e poi la sagoma in ferro dello stesso cane, in mezzo alla rotonda poco distante.
Gli avevo dato un’occhiata veloce mentre il treno stava arrivando, poi mia figlia e i suoi bagagli mi distrassero e non ci pensai più. Fino alla volta successiva, quando davanti alla statua vidi un uomo che la stava fotografando.
Era un Inglese. Mi mostrò il trafiletto di una rivista che nominava, fra gli autori italiani più letti in Inghilterra, Elvio Barlettani, a me sconosciuto. “The dog man”, disse l’Inglese indicando la statua. Quando arrivò mia figlia andammo a prendere un caffè lì vicino nell’unico bar della zona, perché all’interno della stazione non c’è né un ristoro, né uno sportello biglietteria, nulla. Solo quattro binari in mezzo ai campi. Chiesi al barista informazioni sulla statua.
Così scoprii che la statua raffigura Lampo, “Il cane viaggiatore”, o “Il cane ferroviere”, come è stato chiamato. E no, non è la solita storia del cane che va a prendere il padrone alla stazione e se ne torna a casa. No. Lampo, fra il ’50 e il ’60, è stato un cane che amava viaggiare per il puro piacere di viaggiare, partiva da Campiglia per arrivare a Roma, Genova, Milano, prendendo coincidenze, riconoscendo i treni e gli orari giusti. Amava fare colazione al bar della stazione di Firenze ma lo segnalavano anche in posti più remoti. Saliva sui vagoni e almeno all’inizio, si sistemava sotto i sedili per non farsi notare dal controllore, e mai creò problemi ai passeggeri. Eppure per ben due volte fu allontanato da Campiglia perché si temeva che ci fossero contestazioni che avrebbero portato all’intervento dell’accalappiacani. E a quel tempo i randagi nei canili venivano soppressi dopo tre giorni. Così fu spedito il più lontano possibile ma riuscì sempre a tornare alla stazione di Campiglia Marittima, che aveva eletto come casa propria. La prima volta non ci mise molto, ma la seconda volta i ferrovieri si impegnarono parecchio per depistarlo. Fu portato nelle campagne del sud, il più possibile lontano dai binari perché non potesse orientarsi nel modo che gli era più facile. Ci mise cinque mesi a ritornare, stremato. Sembrava fosse sul punto di morire, invece si riprese. Da quel momento divenne intoccabile, una celebrità, godendo anche della protezione del nuovo capostazione, amante degli animali, e le memorie scritte dal ferroviere che per primo lo prese a cuore e che diventò il suo “biografo”, appunto Elvio Barlettani, sono oggi tradotte in vari paesi del mondo.
Arrivai a casa cercai informazioni su Google e trovai che il libro “Lampo il cane viaggiatore” è edito in vari paesi; in Polonia è addirittura adottato nelle scuole come libro di testo, leggo che la sua strada ferrata è stata associata a “La strada di Kerouac”, e che per lui arrivavano scatole di biscotti da San Francisco. Ci sono foto in bianco e nero, diversi video e un documentario della RAI che narra la vicenda. E poi la cerimonia di inaugurazione della statua che fu finanziata da una rivista americana, con il sindaco, varie personalità della zona e centinaia di persone commosse.
Il giorno dopo entro in libreria, già preparata a dovermene uscire a mani vuote, come spesso mi succede, e dover ordinare mio malgrado il libro on line. Invece mi basta dire “Lampo” e vengo indirizzata verso lo scaffale per ragazzi – anche se – dice la libraia – non è solo per ragazzi . “Lampo il cane viaggiatore”, di Elvio Barlettani, già pubblicato da Garzanti, ora edito da La Bancarella, ha delle illustrazioni particolari, a metà fra il fumetto e il ritratto, che sono opera di Massimo Panicucci.
Leggendo il libro mi chiedo: come fa un cane a capire le coincidenze, a orientarsi nella rete ferroviaria italiana, a trovare sempre i vagoni ristorante per rimediare qualche osso. Oltre all’intuito, cosa c’era? Orologio interno, riconosceva le forme, i colori dei treni? E poi, sarà tutto vero? Sarà vero che alla fine della sua carriera era lui a dare il via al capotreno abbaiando, e che anche i passeggeri si fidavano del suo segnale?
Il libro, più che soddisfare la mia curiosità, ne innesca di nuove.
L’autore non è più tra noi ma sua figlia, Mirna Barlettani, la bambina che Lampo accompagnava tutte le mattine a scuola prendendo il treno Campiglia-Piombino e poi tornando indietro, vive ancora a Piombino e dovrebbe avere circa 65 anni.
Cerco l’indirizzo mail o un contatto ma niente, né su Linkedin né altrove. Su Facebook l’ultimo post è del 2019 e su Instagram non trovo il profilo. Poi mi dico, stai a vedere che… le vecchie pagine bianche on line. Eccola! C’è un indirizzo, guarda il caso, a pochi metri dalla mia nuova casa a Piombino. E un numero di telefono. La chiamo. Appuntamento fissato.
L’illustratore Massimo Panicucci invece è su Facebook. È un grafico che ha vissuto a Firenze, amico della figlia di Elvio Barlettani, anche lui figlio di un ferroviere che lavorava a Campiglia in quegli anni. Ora capisco che quel bambino che compare fotografato nel libro con Mirna e Lampo, è lui.
Scopro che abbiamo un’amica in comune, Letizia Papi, scrittrice e cantante folk di Suvereto. Dopo un giro di messaggi e telefonate, in cui vengo a sapere anche che la Papi è stata una delle interpreti della canzone scritta da Pietro Sabatini per Lampo anni fa, ho un appuntamento anche con Massimo.
Quindi, eccomi in Lungomare Marconi davanti a casa di Mirna, un lunedì di maggio.
Mi accoglie Zita, una canina simil Lampo e poi lei, occhi azzurri e sorriso grande.
Il tavolo del salotto è pieno di materiale relativo alla storia di Lampo, mi spiega che è abituata a mostrarlo: riceve di frequente persone da ogni parte del mondo che vogliono conoscere meglio la storia. Ci sono varie edizioni del libro: giapponesi, francesi, inglesi e poi riviste tedesche e articoli da ogni dove. Ma una cosa oltre a tutte mi emoziona. Il manoscritto battuto a macchina di suo padre, che aveva la terza media e l’urgenza della scrittura. La sera si ritirava per scrivere le prodezze giornaliere di Lampo, riempiendo pagine che una maestra correggeva in cambio di lezioni di scuola guida. Il manoscritto è rilegato in modo poco più che casalingo, la copertina in cartone, le foto originali in bianco e nero, incollate sulle pagine un po’ scurite perché sopravvissute a un incendio.
Quello che avevo visto on line, compreso un documentario girato dalla RAI dopo la morte di Lampo con un cane attore, e tutto quello che già avevo letto, mi viene ora raccontato dalla viva voce della bambina cresciuta. Assaporo ogni sfumatura. E non immaginavo poi scoprire che cosa questa storia si è portata dietro, un racconto ispirato alla storia edito dal Battello a Vapore, i disegni fatti dai bambini, una sceneggiatura per soggetto cinematografico, contatti dalla Disney. Infine Mirna mi svela alcune vicende inedite. La più bella è quella di quando la sua famiglia partì per il mare senza Lampo che si era attardato chissà dove, ma in giornata se lo videro arrivare in spiaggia per conto proprio. Aveva preso un pullman.
Mirna insiste per farmi portare via delle foto originali che restituirò fra qualche giorno. Ce n’è una fra tutte che mi colpisce, Lampo è seduto su un pianale in legno di un vagone merci, con lo sguardo sereno, eppure si percepisce un qualcosa di triste negli occhi. Forse nostalgia.
Sembra infatti che fosse arrivato dall’America, era la mascotte di una nave che restò ormeggiata a Livorno per un po’. Un marinaio livornese che lo riconobbe raccontò che quando la nave dovette partire, Lampo non era ancora rientrato dall’ennesimo giro esplorativo; l’equipaggio non poté aspettarlo e salpò. E forse è per questo che quando lo portavano in spiaggia, Lampo “volgeva continuamente lo sguardo intorno e poi verso il mare infinito”.
Della morte di Lampo non parliamo. Sia io che Mirna sembriamo deviare ogni qualvolta si sfiora un discorso che ci potrebbe portare lì.
Me ne parlerà invece Massimo Panicucci, quasi con imbarazzo. Lo farà anche per dirmi che il cane viaggiatore è sepolto proprio sotto quella statua alla stazione.
Poi il discorso va oltre Lampo, impossibile non soffermarsi sulle illustrazioni sparse ovunque, sui libri impilati qua e là. E mi spiego il tratto che mi aveva colpito: Massimo è autore di graphic novel e illustratore di disegni per bambini. Però è anche musicista e la sua casa è piena di strumenti. Ma di questo parleremo più avanti.
Intanto torno nel mio nuovo appartamento, ingombro di scatoloni e prospettive, nel luogo che ho eletto come casa. Almeno per quest’anno.
Sulla scrivania il libro di Lampo, aperto sull’ultima pagina:
“Non volli vederlo da vicino: anche a me mancò il coraggio, volevo ricordarlo come era da vivo.
“Sembra che sia stato uno di noi, a rimanere sotto.”
“Era uno di noi!”, risposi salendo sul treno.
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