di Caterina Corucci
Sono stata invitata alla Fiaschetteria da Pilade a Livorno per un pranzo molto particolare.
Ci sono arrivata un po’ prima dell’orario stabilito, spero di riuscire a parlare un po’ con Claudio.
Lui, insieme a Simone, è il proprietario della Fiaschetteria dal 2019; insieme hanno scelto di riprendere l’antico nome dato da Pilade Cipriani a fine 800. In quell’epoca la Fiaschetteria era frequentata da personaggi illustri: Giovanni Pascoli, che insegnava greco e latino al liceo Niccolini Palli, finiva di lavorare e si fermava qui a pranzo insieme a Giosuè Carducci, che veniva spesso in città per far visita alla figlia.
C’è anche una targa che li ricorda; Claudio e Simone la scoprirono per caso buttando giù una parete di cartongesso che la nascondeva. La sala infatti era stata adibita a magazzino, forse quella lastra in marmo sarebbe stata d’intralcio a scaffalature o armadi, e così fu coperta.
Insomma, quando arrivo alla Fiaschetteria Claudio sta apparecchiando dove ci andremo a sistemare noi. Ha unito più tavoli a formarne uno molto grande, ma nello stesso tempo contenuto, più o meno un quadrato, per non disperdere troppo in lunghezza le persone. Tovaglia rossa e bianca, una fiaschetta impagliata di vino rosso da settantacinque ogni tre posti.
Claudio è diplomato all’accademia delle Belle Arti e ama la letteratura, ecco perché la trattoria ospita mostre di pittori ed è piena di oggetti antichi, libri, cimeli; ecco perché il suo occhio non perde un particolare. Non può farne a meno: quando i clienti se ne sono andati lui osserva come hanno lasciato il tavolo, dice che il cameriere capisce molto delle persone da come trova il tovagliolo, da come hanno giocato con le molliche di pane, dalle macchie di sugo. È curioso come alla stessa tavola da quattro si possano trovare tre zone perfette senza una briciola intorno al piatto, e una zona dove sembra ci sia stata un’esplosione. Oppure ci siano tavole di persone che si sono comportate tutte nello stesso modo: il coltello lasciato nella stessa posizione, il tovagliolo come un triangolo; piccole comunità di simili. Claudio ha intenzione di fotografare i tavoli prima dello “sbarazzo” e di farne una raccolta, forse una mostra, insomma, mica si può lasciar perdere una ricchezza di spunti di questo tipo…
L’apparecchiatura è quasi pronta, mentre va a prendere i menù osservo i quadri di Valentina Restivo appesi alle pareti, alcuni sono anche sotto la targa dei poeti. Si tratta di una mostra itinerante: comincia a casa dell’artista e finisce qui.
A mezzogiorno e mezzo arriva Enrico Pompeo. È uno dei nostri collaboratori, l’autore di quelle belle recensioni che escono sulla rivista Offline, scrittore nonché mio grande amico; è lui che ha organizzato il tutto. Ha preso l’idea dai reading che vengono fatti negli Stati Uniti, li chiamano Book at Restaurant, e non sono presentazioni: l’autore legge pagine della sua opera, tra un bicchiere di vino e un antipasto, in un’atmosfera amichevole. I commensali fanno domande, magari collegate al libro ma non per forza su quello. Nello spirito di quanto veniva fatto per esempio a San Francisco da Ferilnghetti, la libreria che fu ritrovo della Beat Generation, dove ancora si fa letteratura indipendente e progressista e che nel 2001 ha ottenuto lo status di Landmark, ossia “punto di riferimento”.
Claudio e Simone hanno aderito volentieri a questo progetto, non fosse altro per far cosa gradita agli spiriti del Pascoli e del Carducci che aleggiano fra i fornelli e la cantina, e che sicuramene apprezzeranno.
Qualcuno dice che per portare la gente alle presentazioni ormai ci vuole una motivazione in più e c’è chi ha cominciato a offrire buffet a fine evento. Ma non è questo il caso.
E la soluzione non è nemmeno creare un ambiente ad hoc per fare letteratura, usando un luogo normalmente non preposto, come i caffè letterari. No, non c’è da inventarsi niente perché in realtà, noi, queste cose già le avevamo. Come dice Claudio, qui si tratta di restituire alle trattorie la loro antica funzione che era anche quella di ritrovarsi e passare del tempo insieme facendo le cose più naturali del mondo, condividere il cibo, le idee, le opinioni. Ecco perché un tavolo unico, e pazienza se si riescono a riunire meno persone.
Quattordici posti seduti, il numero è limitato ma, come dicevo, quello che potrebbe sembrare un vincolo è ciò che rende questi incontri occasioni particolari. In un tavolo più grande, e ancor più in più tavoli separati, si smarrirebbero le parole, si perderebbe l’intesa.
Il primo evento di questo tipo ha avuto luogo qualche settimana fa proprio con Pompeo e il suo “Nessuno ha dato la buona notte”, pubblicato nell’ottobre 2021 e già alla sua prima ristampa.
Invece oggi ci sarà Sacha Naspini, autore tradotto in ventisei paesi, quello de “Le Case del malcontento”, “I cariolanti”, “Ossigeno”, solo per dirne alcuni. È qui con la sua ultima pubblicazione “Le nostre assenze”.
Le ore se ne vanno senza che nessuno se ne accorga, si parla di libri ma, grazie anche a Valentina Santini presente, autrice de “L’osso del cuore” e scrittrice per il cinema, si ragiona anche di trasposizioni cinematografiche, sceneggiature. Sì, perché Le Case del malcontento sta per diventare una serie televisiva.
La situazione è davvero speciale e quasi ti dimentichi che a passarti il sale non è il vicino di casa ma il grande scrittore Sacha Naspini. Bisogna dire anche che per fare cose del genere ci vogliono gli scrittori giusti, mica tutti son bravi a parlare in modo professionale di tecniche narrative e scelta del punto di vista con un crostino in mano. A proposito del menù, i crostini burro e acciughe sono una poesia, il polpo briào uno spettacolo.
Fiasco dopo fiasco si fanno le quattro del pomeriggio e neanche so quali e quanti argomenti di letteratura abbiamo toccato, con una leggerezza che esiste solo fra amici di vecchia data, mentre in realtà almeno metà dei commensali non si conoscono.
Cominciamo ad alzarci, gli abbracci, i saluti, Naspini fa i complimenti a qualcuno per la maglietta che ha indosso e questo qualcuno se la leva e gliela regala.
Poi è tardi, faccio per andarmene, ma quando arrivo alla porta mi viene da tornare indietro per guardare il tavolo rimasto vuoto. Acccanto ai tovaglioli accartocciati ce n’è uno che sembra un origami, qualche piatto con tutte le posate intorno, tre con le forchette messe a croce, una macchia di vino che pare una rosa dove c’era la signora bionda, briciole allineate come soldatini al posto di quel ragazzo con la barba, un piattino da dolce, con due cucchiaini dentro.
E Claudio, dalla porta della cucina, che mi strizza l’occhio.
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