Le riviste letterarie sono spazi, luoghi di incontro e condivisione. Vi collaborano persone animate dalla stessa passione per la comunicazione, la narrativa, l’arte, la poesia. Che provengono da storie personali differenti, ma hanno un paradigma di sensazioni, visione simile e che vengono chiamate per aver dimostrato competenza e professionalità. E che si entusiasmano al progetto. Offline è uno di questi laboratori creativi, una fucina di produzioni, da racconti, a recensioni, ad articoli di approfondimento, a vere riflessioni e spunti per discutere sul linguaggio. È proprio per questo spirito comunitario che ogni qual volta qualcuno si avvicina, trova accoglienza. È quello che è successo questo mese. Stavo pensando di parlare di un libro quando un amico scrittore, Vittorio Cotronei mi manda un suo parere proprio sullo stesso testo, utilizzando quelle chiavi di lettura che avrei provato a utilizzare. Gli ho domandato se aveva niente in contrario a essere ospitato nella rubrica e lui, da curioso sperimentatore qual è, dato che passa dalla scrittura di romanzi, alla sceneggiatura, regia di video e a tanto altro, ha subito manifestato interesse e partecipazione a questa proposta. Perciò gli lascio la parola, con la speranza che sia solo il primo di tanti interventi da poter ospitare. Buona lettura.
Enrico Pompeo
Titolo: Lei che non tocca mai terra
Autore: Andrea Donaera
Editore: NNEditore
di Vittorio Cotronei
Ho iniziato a leggere “Lei che non tocca mai terra” di Andrea Donaera con molto scetticismo, perché pensavo che quando esordisci con un capolavoro come “Io sono la bestia”, perla osannata da critica e pubblico, compreso il sottoscritto, dopo sia veramente difficile ripetersi, figuriamoci migliorarsi.
Mi sbagliavo.
L’espediente del romanzo corale, dove non esiste un narratore vero e proprio, è un metodo di narrazione più che collaudato, ma mentre in tutti gli altri romanzi che ho letto rimane sempre una “radiazione di fondo” che identifica, volente o nolente, l’autore che lo ha generato, Donaera scompare. Svanisce. Prima crea un mondo, dopo lui si dissolve e ti lascia lì, solo, in quel Sud superstizioso e inquietante, provando sgomento, orrore. Ti scaraventa in una di quelle storie che vengono alla luce sempre “dopo”, quando si è consumata la tragedia e che prima vengono solo sussurrate, o intuite, ma di cui nessuno parla apertamente: storie di sofferenza, di Santi, di Madonne, di guarigioni, di esorcismi. E proprio in quest’Italia cupa e sotterranea, fatta di sette al limite tra religione ed esoterismo, Donaera disegna una dolcissima storia d’amore con penna di poeta quale è.
Donaera è giovane e scrive in modo mai visto prima. Esteticamente non è il classico scrittore con la giacchetta di velluto e le foto con aria pensierosa, sembra piuttosto un metallaro dell’Estremadura un po’ sovrappeso, con la maglietta dell’Iron Maiden e la lunga coda che scende lungo la schiena ed è come se questa sua atipicità in qualche modo si riflettesse anche nel modo di raccontare.
Non una mosca bianca, direi piuttosto una mosca nera in un mondo di mosche bianche.
A me, ogni volta che sento dire “Tizio scrive bene” viene il sobbollito, perché dovrebbe scrivere anche “di qualcosa”, oltre che bene. E poi costruire un mondo e lanciarmi oltre. Quando leggo voglio viaggiare da fermo, come con la spezia di Dune. Donaera ti ci catapulta in quel mondo, tra l’altro, in questo caso, usando un espediente semplice quanto geniale: la “Talking cure” in modo da far parlare a turno i vari personaggi alla protagonista in coma. E poi c’è il famoso “rumore bianco”, il non detto, il NON scritto, scusate il gioco di parole, che per tutto il romanzo lascia un forte senso d’inquietudine e quasi hai paura a sfogliare la pagina successiva.
Adesso tengo in mano questo libro e ho come la sensazione di aver letto qualcosa proveniente dal futuro: un modo di raccontare avanti con i tempi, di nuova generazione.
Seguirò ancora Donaera, perché sono davvero curioso di vedere fin dove arriverà.
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