di Enrico Pompeo
Titolo: Morti ma senza esagerare
Autore: Fabio Bartolomei
Edizione e/o
Collana: Assolo
Pagine: 104
Qual è uno dei segreti più importanti della narrativa che riesce a farsi letteratura?
Sicuramente quello di rendere credibile anche l’impossibile. Come si fa? Attraverso l’utilizzo di una voce che ti comunica autenticità, verità anche se è quella di una persona che si trova coinvolta in una situazione più che paradossale. Come accade a Vera, la protagonista di questo romanzo breve, un vero gioiello di scrittura. La ragazza, trentaseienne, si trova a dover fare i conti con la prematura scomparsa dei genitori, avvenuta in un tragico incidente automobilistico. Mostra solidità, compostezza, ma dentro di lei affiorano i demoni dell’insicurezza, della paura, dell’abbandono. Anche i sensi di colpa per non aver mostrato a suo padre e sua madre quanto per lei fossero stati importanti e significativi. E allora, affranta, con le lacrime agli occhi, sdraiata sul lettino della cameretta di quando era piccola dice, rivolta alle ombre del passato, che ha ancora bisogno di loro, che vorrebbe averli di nuovo con sé.
E questo avviene. Vera si sveglia e loro sono lì, consapevoli di essere morti, ma senza esagerare, perché non si può far finta di niente se la tua unica figlia ti cerca, anche se devi tornare dall’al di là.
Bartolomei riesce in un’operazione difficile, quella di sfuggire a ogni vezzo retorico sull’affetto tra genitori e figli, in queste pagine non c’è un filo di retorica o di buonismo. E nemmeno di trincerarsi dietro facili scappatoie, legate al soprannaturale, all’intromettersi del mistero.
Non c’è niente di tutto questo, c’è una storia apparentemente assurda, raccontata così bene da risultare subito credibile.
Tutto questo grazie a un uso sapiente e calibrato del linguaggio. Bartolomei fa sua la grande indicazione contenuta in ‘Lezioni Americane’, quando Italo Calvino evidenziava l’importanza, nella scrittura, della ‘leggerezza’, intesa come qualità di togliere peso, pesantezza alle parole. Dare loro respiro, armonia e ironia.
Bartolomei, in questo, è un vero maestro, riesce a parlare di perdita, di sensazioni forti e dolorose, senza mai caricare troppo il discorso, svicolando da ogni aspetto emotivo, lavorando in punta di fioretto, riuscendo a far sorridere, pur in una situazione che non ha niente di divertente.
Questo è il primo libro di un progetto narrativo da declinarsi in una quadrilogia sulla famiglia, sulle relazioni interne a questa vera istituzione cardine della nostra società, che lo scrittore indaga proprio a partire da un’assenza, dalla mancanza, per evidenziare quanto alcuni rapporti abbiano molte più sfaccettature rispetto a ciò che appare .
In poco più di cento pagine Bartolomei riesce a delineare tre caratteri che escono dalle pagine e ti accompagnano come persone che conosci da tempo: Vera, dalla personalità inquieta, ancora immatura ma ricca di curiosità; la madre, professoressa di materie umanistiche al Liceo, apparentemente scorbutica, ma dotata di uno sguardo disincantato e sarcastico sul mondo; il padre, un uomo buono e gentile, delicato e perciò, a volte, tacciato di debolezza.
A Bartolomei servono poche frasi, delle pennellate veloci per delineare il mondo interiore dei suoi personaggi e renderne la complessità, la contraddittorietà e perciò farli vivi e densi di significato per il lettore.
Un libro che si legge tutto d’un fiato e che, quando finisce, vorresti ricominciasse da capo.
Buona lettura.
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