di Caterina Corucci
Da mesi le idee non decollano, sono zavorrata. Lo slancio verso la scrittura, mio rifugio e sfogo naturale, è come appesantito da un cappotto pesante. Ho un lavoro in corso cui manca poco, davvero poco per essere finito, eppure ristagna da troppo tempo; una volta pensai addirittura che avrei pagato volentieri qualcuno per terminarlo al posto mio.
Quel giorno, sorpresa da me stessa, mi misi a seguire un filo sottile ipotizzando di prendermi sul serio, immaginando da dove cominciare se davvero volessi…
Mi venne in mente una persona che sa farlo bene, scrivere i libri degli altri, e rimuginai sul fatto che sarebbe stato interessante parlarci. È Chiara Beretta Mazzotta e sì, è una ghost writer.
In realtà non la conosco personalmente ma di fama, e so che è molto impegnata. Sta a Milano dove ha un’agenzia editoriale che offre, oltre al ghost writing, servizi di valutazione, revisione e scouting/promozione. In pratica si occupa degli autori e dei loro testi e li aiuta nel tentativo di trovare una buona pubblicazione. Inoltre gestisce Edday, una piattaforma di corsi dedicata al mondo dell’editoria rivolta agli addetti ai lavori e a chi vorrebbe diventarlo. È anche giornalista pubblicista per la rivista Meridiani, e il sabato mattina su Radio 105 chiacchiera di Libri a Colacione.
Pensai, se è davvero come appare nei suoi video, frizzante e comunicativa, magari accetterà di dedicarmi una mezz’ora. Così cercai il contatto e le scrissi.
Mi rispose nella stessa giornata e già dalle poche righe capii che non mi sbagliavo. Avevo chiesto di poterle fare delle domande via mail, lei rispose che avrebbe preferito via Skype, guardandoci negli occhi (scrisse proprio così) e mi dette un appuntamento.
Il giorno è arrivato e ci colleghiamo. Eccola, è chiara di nome e di fatto. Non so se siano più grandi gli occhi azzurri o il sorriso, ma tutto è apertura e affabilità. Anche la voce.
Partiamo con la prima domanda che sembra scontata ma forse non lo è, o non lo è per tutti.
Cos’è un ghost writer ?
«È un professionista che scrive al posto di qualcun altro, una persona che ha delle competenze che qualcun altro non ha o non è minimamente interessato ad avere. A volte il ghost lavora per una persona nota, immaginiamo un vip che ha una storia da raccontare però non ne è in grado, altre volte è un lavoro tecnico, per un imprenditore che deve scrivere una pubblicazione inerente al suo settore. Oppure scrive per una persona che ha avuto una vita particolare e ci tiene a trasferirla sul testo perché vuole lasciarla alla propria famiglia. Ci sono tante motivazioni per cui uno può ricorrere al ghost. Quella più frequente in editoria è di chi ha una storia, qualcosa di veramente interessante da narrare ma non è in grado di farlo oppure chi ha dei grandi numeri e per l’editore sarebbe un bene che raccontasse qualcosa ma lui non ne ha la capacità.
Alcuni ghost sono limpidi, nel senso che sappiamo che ci sono. Penso a Stella Pulpo con il libro della De Lellis o, tralasciando il gossip e le influencer, Fulvio Ervas che fu chiamato a scrivere “Se ti abbraccio non aver paura”, una storia molto dolce di un papà e di un figlio autistico che fanno un viaggio, e che Ervas ha tradotto in maniera meravigliosa, infatti il libro edito da Marcos y Marcos ha avuto molto successo.
In quei casi però il ghost non è più un vero e proprio “ghost”, ma è una persona che scrive al posto di qualcun altro e la cosa è nota. Il vero ghost writer, come dice la parola stessa, non appare ed è quindi una figura misteriosa. Affascinante.»
Mi vengono in mente due film su questo soggetto, “L’uomo nell’ombra” di Roman Polański e “The young adult”, di Jason Reitman; in entrambi il ghost writer di turno si va a infilare in situazioni torbide, in complotti, oppure scopre dei segreti, come se per il fatto che è occulto debba avere a che fare con il mondo dei fantasmi.
Come si svolge praticamente il lavoro? Via mail, di persona…
«C’è chi vorrebbe lavorare solo per mail, mi è capitato di scrivere per una persona che non si fa vedere in giro e quindi non l’ho mai incontrata. Abbiamo parlato per telefono e mi lasciava tantissimi audio nei quali mi raccontava le cose che avrei dovuto scrivere.
Altre volte mi è capitato di operare solo sul contenuto, in quel caso più che un ghost completo è stato un lavoro a cavallo fra l’editing e il ghost writing: c’era una parte di testo dal quale partire, sui cui lavorare, bisognava completare dei vuoti.
La cosa interessante è che si crea sempre una dinamica con la persona per cui stai lavorando, a meno che non ti dicano che devi scrivere un romanzo interamente, cioè quando ti danno solo l’idea e poi sei completamente libero.
Spesso devi rielaborare qualcosa che c’è già, un progetto che appartiene a qualcuno che non puoi estromettere. Coinvolgerlo attivamente, dargli sempre la sensazione che sta prendendo delle decisioni giuste crea innanzitutto sinergia e rende tutti contenti. Certo, per il ghost è una situazione faticosa: l’autore ha già un’idea e lui ci si deve avvicinare il più possibile. La difficoltà nasce dal fatto che stiamo parlando di due persone diverse, e la stessa storia raccontata da un’altra persona diventa un’altra storia. Per voce, punto di vista, sguardo sul mondo, modo di montare la cosa.»
Puoi dirmi qualcosa del famoso “patto di segretezza”?
«Il ghost writer firma un contratto per cui cede fondamentalmente la proprietà, quindi lui non potrà mai fare nessuna richiesta economica oltre quella che viene pattuita. Io non ho mai lavorato con royalties ma a fisso: faccio questo lavoro, mi paghi questo.»
Come si decide di diventare ghost writer?
«A volte, se è un lavoro tecnico, ti ritrovi a fare il ghost ma in realtà hai svolto qualcosa di simile a un lavoro giornalistico (mettere insieme delle cose). Nella maggior parte dei casi, devi avere delle competenze: tu fai il lavoro giusto perché sei competente rispetto a un contenuto o a un argomento.
Per quanto riguarda la narrativa è difficile decidere di diventare un ghost, prima di tutto perché gli autori vogliono scrivere i propri libri e chi dice di no mente. È normale e giusto, chi scrive vuole pubblicare e vuole che qualcuno lo legga. Però si accorge che questa attività non gli permette di sopravvivere, quindi scatta la ricerca di una serie di lavori accessori che siano più vicini possibile alla propria passione ed ecco le traduzioni, l’editing, la correzione di bozze, le schede, lo scouting. Tutti quei lavori che fanno parte della filiera.
Può capitare che io, editore, ho te, autore, e ho anche un’idea sottomano. So che tu hai scritto una cosa simile o avresti la voce giusta per raccontare quell’idea, ecco che ti prendo in considerazione e ti faccio un’offerta per metterla su carta.
A proposito di pagamento, puoi dirmi qualcosa?
«Variano molto i compensi. Dipende dal monte pagine, dalla complessità della storia e dall’approfondimento necessario: quante volte devi incontrare l’autore o se devi fare delle ricerche bibliografiche, o delle fonti, per cui devi spostarti e perdere tempo. Posso dirti ciò che faccio io: pattuisco un compenso per la prima stesura e poi prevedo un compenso per la revisione delle cartelle, dopo essermi confrontata con l’autore. In agenzia c’è poi la revisione di un altro editor/redattore.
Spesso viene proposto, un po’ come succede ai traduttori, un pagamento a lavoro ma anche uno sulle royalties. Qui dipende tutto dall’autore: se è un illustre sconosciuto avere un fee sulle sue royalties può essere poco interessante, lo diventa se si tratta di uno scrittore noto che pubblica con un grande editore e si ipotizza che venderà molto.»
Puoi quantificare? A grandi linee, giusto per curiosità…
«Lavori di ghost affidati ad autori non particolarmente famosi per autori non particolarmente famosi: duemila, tremila euro. Se invece lo scrittore ghost è noto e scrive per un personaggio altrettanto noto, si può arrivare a diecimila euro.
Ho una cara amica ghost che fa un lavoro molto particolare, sceglie solo le storie che le piacciono; è una scrittrice, può selezionare e lo fa molto bene. Lavora per persone che non è nemmeno detto che vogliano pubblicare, ma solo raccontare una loro storia. Lei chiede anche venticinquemila euro a testo ma ci lavora un anno. I famosi ghost writer americani – per esempio il mitico Andrew Crofts – prendono anche 150mila dollari! Ma sono mosche bianche.
Comunque, in generale, fra i cinque-seimila euro il compenso è rispettoso delle parti, poi è ovvio che se hai nomi famosi in ballo le cifre salgono.»
La cosa più curiosa o antipatica o singolare che ti è stato chiesto di scrivere.
«Una donna che raccontava di un suo fallimento sul lavoro e del fatto che a un certo punto si fosse messa a fare la escort, ma non del tipo che siamo abituati a pensare. Era particolare, metteva in piedi situazione erotico sentimentali degli anni ‘40 e ‘50 vestendosi anche in un certo modo. Gli uomini avevano relazioni con lei che duravano anni, anche di amicizia. Aveva questa vita parallela, la sua famiglia non sapeva nulla. Cominciò per recuperare il fallimento di un negozio e poi aveva deciso che quella era la sua vita. Ecco, lei non era una persona da ghost writer. Era un’autrice, scriveva abbastanza bene ma aveva poca voglia di farlo, forse per paura di rovinare la costruzione. Io le avevo suggerito di fare la ghost di se stessa, della sua avventura.»
Chiara si ferma un attimo, cerca qualcosa dentro di sé e poi sorride.
«Non ho mai trovato il suo libro, sono abbastanza attenta, non credo che l’abbia mai scritto.»
Quindi hai rifiutato il lavoro?
«Le ho detto scrivilo tu. Una cosa fondamentale nei rapporti di lavoro è capire davvero chi ha bisogno di che cosa, cioè moltissime persone vengono dicendo “ho questa storia ma non riesco a scriverla, voglio che la scriva un altro”. Molte volte non è così, quindi ti troverai di fronte una persona che sarà molto insoddisfatta di qualsiasi risultato perché in realtà quel libro vorrebbe scriverlo lei. La prima grande distinzione è fra chi ha bisogno di un ghost, e vivrà la cosa come un’esperienza molto produttiva (ognuno fa il suo mestiere), e chi invece nasconde un’aspirazione personale che verrebbe frustrata terribilmente. Te ne accorgi dalle prime battute che c’è questa cosa in ballo. L’elefante nella stanza.
Poi, cose strane…, ecco, no. Però c’è una cosa interessante: ogni persona che va da un ghost gli porta la sua vita. Sono sempre racconti estremamente conflittuali, grandi insuccessi seguiti da grandi successi, storie familiari intricatissime e storie di professioni, tante. Questa è la cosa più tradizionale.
Invece la richiesta più frequente sono i libri che dovevano essere pubblicati da persone più o meno note e che hanno un grande bisogno di aiuto editoriale. Una riscrittura a metà. Personaggi famosi con una vita così piena per cui non hanno la possibilità anche tecnica di star lì a scriversi il libro. Non hanno il tempo. Trovo estremamente belle e rispettabili le operazioni editoriali “allo scoperto”, per esempio il libro di Totti, dove il giornalista noto scrive per uno sportivo noto; ognuno fa il suo mestiere e porta il suo vissuto e le proprie competenze.»
O il libro di Agassi
«Esatto. Quello è un Premio Pulitzer. Che è di un ghost è dichiarato anche se nella copertina non c’è scritto.»
Dicevamo, importante è anche capire chi ha bisogno di cosa. So che hai alle spalle anni di studio di psicologia, ti saranno di aiuto.
«Psicologa però non sono mai diventata! Ho lasciato quando ho capito che proprio non faceva per me. Ma per lavorare con le persone c’è bisogno di sapere cosa provano e quello che in realtà non dicono, la comunicazione non verbale rivela moltissimo. Il portato è una cosa sulla quale va fatta molta attenzione, ma questo è l’aspetto fondamentale del mio lavoro di editor, che tecnicamente è quello che sono, quello che faccio dalla mattina alla sera. Quando lavori con un autore devi avere cura di quello che prova, nel senso che ce ne sono alcuni apparentemente spavaldi che in realtà puoi ferire con una critica. Quindi è davvero importante capire chi hai di fronte per riuscire a collaborare al meglio, senza mettere in difficoltà nessuno. Se vedi che una persona aspira alla scrittura tu devi fare in modo che questa persona scriva, non che qualcuno scriva al posto suo. Certo ci puoi perdere dei soldi ma non importa, l’obiettivo deve essere la soddisfazione di entrambi. Se una parte non è contenta il lavoro sarà pessimo.»
Ti è capitato di dover scrivere una storia che non ti piaceva?
«Mi è capitato di dover lavorare su storie prossime alla pubblicazione di autori che avevano fatto un exploit con una grande casa editrice – storie frizzanti, carine – ma che non erano stati capaci di ripetersi. Libri che andavano proprio aggiustati e in tempi lampo. È molto frustrante. C’è il rischio che se non riesci a dargli una voce, una forma, diventa un libro brutto scritto decentemente, che è peggio che brutto e basta. È brutto aggiustato! Sono lavori che non sono pagati nemmeno bene, che fai all’inizio. Quando si comincia si fa la gavetta, preziosissima. Poi, se si cresce, ci si dovrebbe concentrare su ciò che si ama e su quello che ci viene meglio. In agenzia il mio obiettivo è trovare per ogni lavoro la persona giusta. Uno dei grandi problemi dell’editoria, e di tutti i settori che non navigano nell’oro, è che costringono l’essere umano a essere tuttologo e multitasking, che è una follia perché per fare bene devi invece specializzarti nelle cose. Ognuno deve fare il suo lavoro. Io ho corretto bozze all’infinito ma non sono brava a farlo, il mio animo non è da “nazista” dell’errore, io sto nella storia, vedo quello che fanno i personaggi, anche per gli studi di psicologia che ho fatto, come dicevamo.»
Tu scrivi? Intendo libri tuoi, che portano la tua firma.
«No, sono una giornalista e la cosa che mi diverte di più è scrivere le notizie. Dare contenuti. Mi piacciono le informazioni. E la scrittura è sempre il primo step anche per la radio o per un video o una storia su Instagram. È dalla scrittura che parti. E in rete parlo solo di editoria, una noia mortale!»
Lei ride, ma io ne ho visti un po’ di quei video che lei ritiene noiosi, e posso dire che invece sono pieni di informazioni indispensabili, se uno vuole muoversi nel settore scrittura/editoria. Poi lei, in quei video, ha quel modo di parlare che ha adesso con me, professionale ma alla mano come se mi conoscesse da sempre, e il tono deciso ma amichevole. Insomma, una noia mortale proprio no.
Per finire, le chiedo di raccontarmi qualcosa della sua agenzia e scopro che in redazione sono ben tre donne, lei compresa, a chiamarsi Chiara. E che Chiara si chiama pure il suo avvocato.
Scopro anche che lei adesso fa esclusivamente l’editor e la scout e l’attività di ghost la lascia a autori che fanno quello e basta o altri che sono nati scrittori, ma che in quel momento sono un po’ in stallo con i loro testi e come tutti faticano a vivere solo della loro scrittura.
Ci salutiamo e la ringrazio non solo per l’intervista che mi ha concesso, ma anche perché parlando con lei mi sono resa conto di una cosa (che non le dico): il momento della propria scrittura, è un attimo a perderlo. Ci sta, un periodo sbagliato, un lockdown di troppo, uno si allontana dall’obiettivo e poi fa fatica a tornare. Ma ho compreso che il mio libro dovrò finirlo da sola, perché se capitassi sottomano alla Chiara ghost writer mi direbbe sicuramente che è quello che voglio. Lei lo capirebbe subito.
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