introduzione di Ivan Nannini
Nell’episodio precedente abbiamo osservato Camilla. Siamo entrati di nascosto dalla porta di servizio e ci siamo accomodati in camera sua. Era lì, seduta sul pavimento con le spalle al muro, intenta ad ascoltare il dialogo tra suo padre e l’ispettore. Le siamo stati accanto per quanto possibile, le abbiamo letto nella mente, ascoltando i suoi pensieri. Abbiamo cercato di comprenderla nel suo conflitto interiore con la madre fatto di odio e di amore. Non se n’è neanche accorta, non ci ha visti, non ha sentito i nostri respiri, i nostri leggeri colpi di tosse. Lei non ci vede, come non vede le rane che piovono dal cielo. Ma adesso si sente meno sola o perlomeno non così distante da tutto. Nello le ha preso la mano, e per la prima volta dopo tanti anni Camilla si è sentita compresa da qualcuno. Ma adesso torniamo a noi. Prendete quella chiave, quella che avete sul comodino. Aprite la porta davanti a voi e osservate ciò che succede.
Buona lettura con il diciassettesimo episodio della serie, rappresentato in copertina da un disegno di Elena Liverani.
EPISODIO DICIASSETTE: LA CHIAVE DI MOLTE COSE
di Luigi Pratesi
(Nello)
Passi. Venivano verso di lui. Non c’era più tempo. Lo avrebbero arrestato.
“Corpo di mille bombe, ragazzina. Mi hai spaventato.”
“Non l’ho fatto apposta. Eri sovrappensiero.”
Certo che lo era, maledizione. Il suo cervello era come una vela gonfia e non c’era modo di ammainarla. Sorrise alla bambina per rassicurarla. La figlia che non avrebbe mai avuto. “Lo so, cara. Forse hai fatto male a fidarti di questo vecchio, ma visto che ormai siamo qui sarà meglio darci una mossa.”
Era scorbutico, solitario e un poco di buono, lo sapeva bene cosa pensava la gente di lui. Era Nello dell’aspirarane. Quello da cui stare alla larga. Eppure aveva un paio d’orecchie fin troppo grandi che gli permettevano di sentirci ancora bene, nonostante l’età. E ultimamente aveva sentito cose interessanti. Oscure, ma interessanti.
Ormai diverse sere addietro si era trovato per caso nello stanzino accanto alla rimessa per le scope, quello che gli avevano assegnato come ufficio. Si era dimenticato la giacca ed era tornato a prenderla. Due erano i fattori che avevano cambiato il corso di quella serata: le pareti troppo sottili e il confinare con l’ufficio del suo capo, che aveva pure una targhetta sulla porta: Patrizio Crosti, Primo del Collettivo Mobilità e Trasporti. Ma questo non era rilevante.
Patrizio era un tipo a posto, che il più delle volte si faceva le sue. Un omino insignificante, basso e peloso, baffetti come a compensare la pelata, visto che non potevano certo bastare i pochi peli che aveva sopra le orecchie, peraltro sempre in disordine. La testa enorme poggiava poi su spalle a gruccia. Al di là dell’aspetto, però, c’era molto di più in Patrizio, non ultimo che era il cognato e il confidente di Gerardo, il Rappresentante della Collettività.
Se c’era qualcosa di Gerardo che non gli dava uggia, non l’aveva ancora scoperta. Persino i baffi a spazzola, li trovava biondicci al punto che sembravano volessero nascondersi. Falsi proprio come lui. Per non parlare dell’orologio da taschino, gli dava fastidio vederglielo consultare ogni cinque minuti, come se il tempo dedicato agli atri fosse tempo sprecato. Oppure il doppio petto nero. Il modo in cui lo lisciava, lo metteva in mostra… Non vuoto, no. Gerardo non era vuoto come tanti altri di FN314, lui era pieno. Pieno di sé, traboccante di bile e arroganza.
Quei due sembravano così diversi, eppure quella sera si erano rintanati nell’ufficio di Patrizio e stavano parlando, sicuri di non essere ascoltati. Che la marea se lo portasse via se non aveva imparato più di quanto si era aspettato da quella conversazione rubata. C’era da perderci il sonno, parola sua. Ma il tempo delle chiacchiere era finito, adesso doveva agire.
Sentì stringersi la mano con delicatezza. Aveva quasi dimenticato la bambina. “Sì, andiamo.”
Si fece forza e bussò, tenendo Camilla con l’altra mano. Non l’avrebbe lasciata, non l’avrebbe fatta sentire sola. No, signore. Se dovevano fare quella cosa, l’avrebbero fatta insieme.
“Chi è?”
“Chi vuoi che sia, ragazzo. E parla più piano, per la bocca sdentata di una balena, non voglio che tutti sappiano che ci siamo incontrati.”
Non appena Juri aprì la porta si rifugiò al sicuro nel suo appartamento. Indossava jeans strappati e una maglietta di un gruppo rock anni ’90. “Buonasera Nello. Ciao Camilla.” La piccola annuì, lui pure. “Che cosa c’è di così urgente e misterioso? Ci sono novità?” Con la testa indicò la ragazzina.
“No, nessuna. Teresa è ancora scomparsa, ma io suppongo che sia tutto collegato.”
“Tutto?”
“Sì, per Ercole. Tutto. Io non sono un tipo che ci sa fare con le parole, quindi barra a dritta. Non ci giro intorno. Le rane non esistono. Ecco, l’ho detto.” Il silenzio che seguì fu più esplicativo di molte parole. “No, davvero figliolo, le rane non esistono. Mia moglie, per esempio, non le ha mai viste. Camilla, qui, non le vede. E sono sicuro che molti altri siano come loro, solo troppo impauriti per dirlo.”
“Nello, lei… tu le vedi?”
“Certo che le vedo, sennò come potrei fare il lavoro che faccio?”
“Sembra assurdo. Io le vedo, tutti le vedono.”
“Non tutti le vedono, è proprio questo il punto. Mia moglie non le vedeva e non mi avrebbe mai mentito, non su questo. Quanto a Camilla ho visto come ha reagito durante la prima pioggia di rane, era proprio davanti a me. È certo che non le vede. Forse per te queste non sono prove, però rifletti: se c’è qualcuno che vede piovere rane e qualcuno che non le vede, chi è più facile che abbia ragione? Quando mai, prima di questi ultimi anni, è capitato che piovessero animali dal cielo?”
Juri lo guardò dritto negli occhi. Quello che ci lesse lo convinse ad aprirsi una birra. “Ne volete una?”
“La ragazza è troppo piccola.”
“Per te?”
“Sì.”
Un surrogato di birra di quelli a basso costo, ma ghiacciato. “La signora Renata non ha più bisogno di me, così mi ha detto.” Si scusò il ragazzo.
“Sempre meglio che acqua, in questo momento.”
“Perché sei venuto da me?”
“Perché dovevo andare da qualcuno. E tu mi sembri un ragazzo sveglio, che prima di ridermi in faccia mi ascolterà fino alla fine. Hai mani rugose, sai cosa significa essere concreti.”
“Mani rugose.” Era ancora pensieroso.
“E sono venuto da te perché se mi dovesse succedere qualcosa, se mi dovessero fermare, c’è bisogno che qualcun altro sappia e faccia qualcosa. Sono mesi che cerco qualcuno. All’inizio pensavo a quel Mik, ma non era pronto.”
“Io lo sono?”
“Non lo so, perdiana!” si batté le mani sulle cosce, rassegnato. “Ma penso di sì.”
“Non so che dire. Certo accadono cose strane ultimamente, con la signora Renata che mi ha detto di non andare più da lei e poi non è più uscita di casa. Eppure la vedo, dietro le tende, a spiare la strada. La scomparsa di Teresa. Ma che le rane siano solo un’illusione…”
“Il vero mistero è come può un intero paese credere che esistano. Ma non sono qui per convincerti, solo per chiederti aiuto. Poi scoprirai da solo la verità.”
“Aiuto per cosa?”
“Nella Casa della Collettività si nascondano documenti che provano tutto. Perdio, ho pure sentito Gerardo ammetterlo. Voglio recuperare quei documenti.”
“E perché ti servo io?”
“Perché non posso entrare dove voglio durante il giorno, quando ci sono tutti gli altri.”
“Che cosa hai in mente? Io non so scassinare le porte e mettere fuori uso le telecamere.”
“A dire il vero, che la marea mi porti, all’inizio non pensavo a questo. Volevo solo che tu sapessi quanto avevo scoperto, per essere sicuro che qualcun altro sapesse. Del resto mi sarei occupato io. Camilla è troppo giovane, sarebbe pericoloso, avevo bisogno di un adulto, di qualcuno che potesse muoversi in certi ambienti senza creare sospetti. Adesso penso invece che devi venire con me. Devi vedere con i tuoi occhi.”
“Vedere cosa?”
“Le prove, figliolo. Sei sordo per caso?”
Il ragazzo si scolò l’intera bottiglia di surrogato di birra con due grossi sorsi, poi si asciugò la bocca sfregandosela sulla manica della maglietta. Non li aveva mandati via, non aveva detto che erano matti, non aveva riso loro in faccia. Quella conversazione stava andando meglio di quanto aveva previsto.
Juri, all’improvviso si voltò verso la ragazzina, uncinandola con le mani. “Davvero non vedi le rane?”
Lei annuì.
“Me lo giuri su tua madre?”
Annuì di nuovo.
Il ragazzo riportò lo sguardo su di lui. “Io non riesco a ricordare l’ultima volta che ho sentito mia figlia. O la mia compagna. Questo non ha senso. Ci sto. Se non altro posso cercare risposte a questo. Che hai in mente di fare?”
Nel disordine di quell’ufficio avrebbero potuto frugare per ore senza trovare niente. “Hai guardato nel cassetto? Gerardo ha detto a Patrizio di tenere la chiave nel cassetto.”
“Non c’è una chiave in questo dannato cassetto, Nello.”
“Guarda se è attaccata con lo scotch sul fondo o nella superficie alta.” Come nei film di quando era ragazzo. Aveva la salsedine che gli essiccava ancora la pelle, il mare che gli scorreva nelle vene assieme al sangue, ma i film di spie avevano sempre avuto su di lui un fascino irresistibile.
“L’ho trovata. Cosa apre?”
“Non lo so. Gerardo ha detto solo che aveva nascosto dei documenti importanti e che voleva che la chiave la tenesse Patrizio, nessuno sarebbe andato a cercarla da lui.”
“Si sbagliava, eh Nello?”
Il sorriso furbo di Juri gli fece pensare che il ragazzo si stesse divertendo troppo. Forse non aveva capito in cosa si stavano immischiando. Meglio così. “Tieni” lo avvertì. “Sostituisci la chiave con questa. Spero che li inganni per un po’.”
“Cosa apre?”
“Niente, ma fino a tre anni fa apriva la mia cantina.”
“Perché pensi che i documenti di Gerardo riguardino le rane?”
“Perché ha parlato di test medici. Della necessità che la cittadinanza non venisse mai a sapere di niente. E perché ha citato gli FP.”
“FP?”
“Sì, i Figli di Puttana come li chiama lui quando scherza con il cognato. Penso che in realtà stia per qualcos’altro. Ma mi venga un accidente se lo so. Sono loro che fanno gli esperimenti, questi test.”
“Su chi li fanno?”
“Che diavolo, ragazzo. Se sapessi già tutto, adesso non saremmo qui, non pensi?” Non voleva essere scortese, ma non aveva mai amato troppo le domande, a maggior ragione così tante una dopo l’altra. “Io vado di sopra, nell’ufficio di Gerardo per vedere se trovo qualcosa, tu dai un occhio qui?”
Juri annuì. Era sufficiente. Uscì dalla stanza a tentoni. Si erano portati due torce, ma cercavano di usarle il meno possibile per evitare che qualcuno, dalla strada, potesse vederli. Camilla era là fuori, ma una bambina che parlava solo con lui non era una buona sentinella. Le aveva detto di avvertire in qualche modo se avesse visto qualcuno avvicinarsi. Forse avrebbe dovuto essere più specifico. Un sasso in un vetro, il verso di un animale. Beh, ormai era tardi.
Nell’ufficio di Gerardo sembrava che fosse appena stato fatto un trasloco. Il computer, un porta penne, due cartelline impilate. Per il resto la scrivania era completamente vuota. Il primo cassetto conteneva la cancelleria, il secondo la carta intestata della Casa della Collettività. Il terzo una serie di timbri, l’inchiostro, una spazzola e la chiave degli schedari.
Adesso si iniziava a ragionare. Nello la prese e si mise a cercare. Con il berretto e la tuta da lavoro sembrava il peggior investigatore privato sulla faccia della terra, ma in quel momento si sentiva proprio come Sherlock Holmes. Ne aprì uno a caso. C’era una cartellina per ogni famiglia di FN314. Molte erano quasi vuote, alcune stracolme di fogli. Cercò per primo Pallari. Non era facile resistere alla tentazione.
Sembrava che la Collettività non lo ritenesse un gran pericolo, a giudicare dal numero dei documenti che aveva su di lui. Poi lesse il contenuto. Per tutte le tempeste, niente di interessante. Solo una copia dell’atto di acquisto del campo in cui faceva l’orto, la concessione edilizia per il capanno, quello di servitù. No, non era quello che stava cercando, ma d’altronde chi avrebbe conservato documenti segreti in uno schedario in bella vista?
Fece girare la torcia per passare in rassegna la stanza. Se avesse dovuto nascondere qualcosa, dove lo avrebbe fatto? Probabilmente non in quell’ufficio. Entrare di soppiatto in casa del Rappresentante della Collettività, però, non era pensabile. Non voleva finire nelle prigioni distrettuali. Per quello si era messo la tuta da lavoro, per potersi giustificare. Era andato lì di notte a recuperare… le chiavi di casa, per esempio. Sì, avrebbe retto. Ma entrare in casa di Gerardo no signore, neanche un pesce rosso avrebbe potuto abboccare all’amo.
Era un inutile spreco di tempo, solo un inutile spreco di tempo. Si avviò verso la porta. Poi lo sguardo gli cadde sulle cartelline impilate sulla scrivania. In alto a destra c’era la sigla FP. Sfogliò la prima. Una serie di grafici incomprensibili, poi una relazione medica sui livelli di qualcosa nel sangue, le onde celebrali, cose del genere. Non ci capiva niente, avrebbe fotocopiato tutto e chiesto a Camilla di studiarli. Da ultimo, un foglio ingiallito.
CIRCOLARE DISTRETTUALE
Con riferimento all’ordine di prescrizione delle betaprazobentamine a tutta la popolazione durante il consulto obbligatorio con l’analista distrettuale, oggetto di precedente comunicazione, si ricorda di fare attenzione in quanto studi dimostrano che una interruzione repentina della somministrazione può creare nei pazienti attacchi di panico, ansia, difficoltà respiratorie, alterazioni percettive.
Si raccomanda pertanto di rafforzare le misure di controllo e prevenzione, anche inviando la dose consigliata a casa dei pazienti che non si dovessero recare nella farmacia locale a comprare spontaneamente il flacone di spettanza.
Per le ragioni sopra addotte, si dispone di intensificare le sedute obbligatorie presso l’analista distrettuale che dovranno avere cadenza trimestrale.
Cordiali saluti
Corpo di mille bombe! Ecco perché ogni mese continuava ad arrivargli quel maledetto flacone a casa. Se pensavano che ingurgitasse le pasticche erano degli illusi. Probabilmente era per quello che avevano messo in giro la voce che era mezzo matto. Oppure era quella voce a proteggerlo.
La seconda cartellina riguardava il bilancio di FN314. La lasciò dove era. Nel corridoio deserto il rumore costante della fotocopiatrice rotolava in modo sinistro. Doveva sbrigarsi.
Passi. Venivano verso di lui. Non c’era più tempo. Lo avrebbero arrestato.
“Nello, hai finito? Di sotto non ho trovato niente di utile. Ma lo sapevi che la manutenzione dell’aspirarane costa 5.000 monete distrettuali all’anno? A me sembra un vecchio catorcio. Scusa se te lo dico.”
“Per il tridente di Tritone, ragazzo. Per poco non mi fai prendere un accidente. Io ho trovato qualcosa di più interessante di una truffa. Finisco di fotocopiare tutto e ce ne possiamo andare.”
“Ok, io però non ho stampato.”
“Non importa, quello che hai scoperto me lo dirai a voce.”
Erano quasi nell’atrio quando le porte della Casa della Collettività si aprirono. Erano perduti.
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