di Enrico Pompeo
Titolo: Io sono la bestia
Autore: Andrea Donaera
Casa Editrice: EnneEnne
Perché un libro ti colpisce più di un altro? Dove sta la differenza tra una buona storia e un racconto che ti inchioda? Che ti tiene lì, incollato alla pagina?
Difficile rispondere. Quasi impossibile trovare una formula che valga per tutti, anche perché ogni lettore ha gusti personali e cerca stimoli differenti in ciò che sfoglia. Eppure ci sono dei romanzi che si staccano dal gruppo, che sei contento di aver scovato e li vuoi consigliare, perché ti viene da pensare che nessuno non possa trovarli meravigliosi.
Eccone uno.
Pubblicato da EnneEnne, casa editrice che nel 2020 compie cinque anni e che personalmente adoro. Grazie a lei ho scoperto Kent Haruf, nella splendida traduzione di Fabio Cremonesi, e mi sono innamorato di Holt e dei suoi abitanti. Come? Non avete mai letto nulla di questo autore? Ahi! Fate così: finite di leggere questa recensione e correte in libreria – non su Amazon, fatemi questo regalo – e prendeteli tutti e due. Questo e qualcosa di Haruf: qualunque cosa va bene. Ne ho anche già parlato per un’altra rubrica che curo su Azione Nonviolenta. Magari andate a vedere.
Ma torniamo a noi.
Si diceva del fascino misterioso di alcune storie. Dove risiede? Per me, un criterio è la voce. Il suono. In origine le storie venivano raccontate intorno a un fuoco e dopo cantate da un poeta. Erano musica. Ogni personaggio deve avere un suono chiaro, potente dentro una melodia armonica. Uno scrittore come un direttore d’orchestra. Qui l’ho sentito. Forte.
Donaera trova il ritmo, l’intonazione e le sue creature escono dalle pagine e ti parlano accanto. Sono brani da heavy metal, rock duro, con chitarre sporche e batterie potenti. C’è il tempo anche di qualche ballata, ma l’atmosfera è cupa, nera.
Siamo in Calabria e Mimì è accecato dal dolore: suo figlio Michele, quindici anni, si è ucciso, gettandosi dal terrazzo di casa. Il padre non è un uomo qualunque: è il boss della Sacra Corona Unita e vuole vendetta. In paese si dice che il ragazzo, poco prima di morire, si sia visto ridere in faccia da una coetanea, Nicole, dopo che lui le aveva regalato un quaderno di poesie. Questo basta e avanza a Mimì: è lei la colpevole. Lei deve pagare. La ragazza viene rapita e tenuta chiusa in attesa di condanna definitiva in una casa nascosta tra i boschi da un guardiano, Veli, che rivede in lei il suo unico amore, Arianna, la figlia maggiore di Mimì. E questo complica le cose.
In un crescendo di colpi di scena la storia scorre, tra sangue e rabbia, tra paure e passioni, tra follia e purezza. Tutto sovrastato da una violenza, una brutalità che è nelle cose, nell’aria che respiri, nel terrore che hai provato, anche solo una volta, e ti ha segnato per sempre.
Con una narrazione che mescola sapientemente varie voci e punti di vista, entriamo dentro questa storia amara, densa e nera, più di un caffè senza zucchero. E forse non è un caso che Mimì e Arianna, padre e figlia, stesso sangue scuro, parlino in terza persona come se la loro identità fosse coperta da altro, dall’odio, dal furore e questo soffochi tutto, anche la propria anima. Mentre Veli e Nicole sono in prima, un io quasi lirico, perché cercano una via, se non di riscatto, d’uscita. Provano a costruirsi un’identità attraverso un affetto che cresce, ora dopo ora, anche oltre la loro volontà.
E quando leggi questi personaggi, ci sei, lì con loro: cammini per le strade e li hai accanto e ti danno pure noia, perché, dentro, ci vedi anche te stesso, riflesso. Distorto, parziale, ma ci sei.
Alzi la mano chi, nella vita, magari nel chiuso di una stanza, da solo, non ha mai pensato di far male a qualcuno che ai suoi occhi gli ha fatto un torto. Più o meno grave. Ora: io non vi vedo, ma mi sa che le braccia sono tutte giù.
Disturba, questo libro. Tanto. Eppure, dentro, c’è anche spazio per una tenerezza che, nonostante tutto, riesce a uscire. C’è anche tanta poesia. Anche scritta, visto che abbiamo la possibilità di leggere i componimenti in versi che Michele ha creato.
Insomma: gran bel libro.
Io non me lo farei scappare, fossi in voi.
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