di Luigi Pratesi
Un consiglio: diffidate dai buoni consigli.
Il desiderio di condividere le emozioni che abbiamo provato e il senso di appagamento che sentiamo dopo aver letto un bel libro, spesso ci portano a consigliare i nostri autori preferiti agli amici.
È del tutto naturale. È bene non dimenticare, però, che i nostri gusti e le nostre vicende personali sono spesso molto diverse dalle loro. Fidarsi è bene, dunque, non fidarsi è meglio, come dice un vecchio proverbio. Questo è quello che ho imparato a mie spese, trovandomi a leggere libri che non riuscivo proprio a portare avanti.
Il buon consiglio è dato con le migliori intenzioni, ma potrebbe risultare una medicina non adatta al paziente. Statistiche dimostrano che gran parte degli italiani non legge o legge un solo libro ogni anno. Proprio per questo è importante che quell’unico libro sia quello giusto. Quello che fa venire la voglia di leggerne un secondo, poi magari un terzo.
Allo stesso modo, è importante che ciascuno di noi, quando veste i panni del lettore, si senta libero di non leggere ciò che non vuole.
Sembra scontato, non lo è. Parlando con le persone, emerge un senso di colpa diffuso che pervade i lettori di ogni genere. Un senso di colpa dato dal fatto che non si è mai letto questo o quel capolavoro, che non si conoscono alcuni classici intramontabili, che non si ha le idee chiare sulla trama di alcuni degli scrittori contemporanei più in voga.
E così capita che qualcuno non abbia mai letto Kafka, Hugo, Maupassant e Asimov, Mazzantini, Ferrante, Carofiglio, Saviano e Ammaniti, Tolkien, Deaver, Malvaldi, King e Follet. Può essere, non c’è nulla di male.
Chi può dire se Carrol è migliore della Rowling, o Camilleri di Vichi? Sono solamente gusti personali. Non è importante leggere questo o quell’autore, è importante leggere ciò che ci attrae. Se un libro viene scelto per convinzione, cresce la motivazione nel portarlo a termine e la soddisfazione nella lettura.
È importante, in proposito, fare un esempio legato a un altro ambito artistico: il teatro.
Molti pensano che andare a teatro sia un’usanza superata, un passatempo non più adeguato ai gusti e al modo di divertirsi di oggi. Forse. Dipende.
Ho assistito a spettacoli in cui la gente è uscita da teatro con gli addominali sofferenti per il troppo ridere, altri in cui è stato apprezzato il surrealismo del testo, trovandolo in piena sintonia con la società contemporanea. La commedia non è migliore della tragedia in senso assoluto, la versione originale di Shakespeare non lo è di quella rivisitata in chiave moderna. Occorre solo avere l’accortezza di andare a vedere lo spettacolo che rispetta il nostro gusto e non quello che ci viene suggerito da chi lo ha visto e ne è rimasto entusiasta, a meno che ovviamente non se ne conoscano i gusti e non si sappia che coincidono con i nostri.
Se ciò avviene, il teatro è un passatempo molto gratificante. Esattamente come il cinema, ma più interattivo.
Come lettori, allo stesso modo, siamo chiamati ogni giorno a fare delle scelte.
Perché allora ci sentiamo in colpa?
Non è facile dirlo. Voglia di sentirsi come gli altri, di mostrarsi all’altezza. Il desiderio di fare bella figura, di risultare informati, interessati, all’ultima moda. Compassione per quei poveri artisti che hanno passato anni della loro vita a scrivere un libro che noi non abbiamo letto.
Il senso di colpa può avere molte sfumature, ma nasce sempre da un’insicurezza.
Ecco perché è importante citare quello che ha detto proprio uno scrittore, Daniel Pennac (in ‘Come un romanzo’): anche il lettore ha i suoi diritti e tra questi quello di non leggere e quello di leggere qualsiasi cosa, senza pensare che ci siano “buoni” o “cattivi” romanzi.
Non sentiamoci dunque in colpa per i libri che non conosciamo, ma godiamo appieno delle emozioni che ci hanno suscitato quelli che abbiamo letto.
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