di Simona Pacini
Claudio Lagomarsini è un ricercatore di Filologia romanza, tiene corsi all’Università di Siena e scrive racconti. L’ultimo, “In virtù di un cavillo”, con il quale ha partecipato al contest #Ognidesiderio indetto dal premio Italo Calvino, è stato decretato vincitore durante una serata ospitata all’ultimo Salone del Libro di Torino. Al concorso collaboravano anche Book Pride e Cattedrale Magazine, rivista on line specializzata in racconti, che pubblica il testo vincitore.
“Il concorso si è svolto in due fasi – spiega Lagomarsini, che è nato a Carrara, ha studiato a Pisa, a Siena, a Parigi e a Losanna, e parla senza il classico accento toscano -, la prima richiedeva l’invio di un incipit di mille battute. Pare ne siano arrivati oltre mille. Gli organizzatori se li sono letti tutti e hanno selezionato una rosa di autori ai quali hanno chiesto di inviare il racconto completo entro cinque giorni”.
Al Salone di Torino sono arrivati i dieci finalisti, l’attrice Eleni Molos ha letto il racconto vincitore e gli altri incipit. Gli scrittori Giorgio Vasta e Rossella Milone, di Cattedrale Magazine, li hanno commentati prima di lasciare la parola ai singoli autori.
“Io ho spiegato che scrivo racconti – continua Lagomarsini – parallelamente a forme più complesse e organizzate come quella del romanzo. Dal mio punto di vista scrivere un romanzo è come avventurarsi nella giungla a caccia della tigre bianca, mentre costruire un racconto è un esercizio di concentrazione che paragonerei ad acciuffare una mosca in volo con le dita. La prima è una sfida rischiosa ed eroica, non sai se ne esci vivo. Il secondo è un esercizio meno ambizioso ma non banale: richiede una preparazione da samurai”.
- Nel tuo racconto narri la storia di un bambino di dieci anni, Marcello, che sfida Dio esprimendo un desiderio. Partendo da un pensiero notturno, costruisci pian piano il contesto e la storia della famiglia. In genere questi pensieri attraversano le nostre menti e poi volano via. Tu invece ci hai costruito una storia. È questo che intendi con “acciuffare una mosca”?
“Il racconto è stato ispirato dal tema dell’edizione di quest’anno del premio Calvino, Ogni desiderio. Probabilmente, quando si scrive con un argomento dato, la prima cosa da fare è scartare le soluzioni più banali. La cosa più intelligente da fare è invece pensare a come declinarlo nel modo più originale. Io ho pensato di collegare la parola desiderio non a un oggetto o a una persona, ma a un desiderio trascendente. Ci sono suggestioni personali, autobiografiche, dal catechismo all’infanzia in provincia. Il protagonista, indottrinato dalla catechista, si pone domande in modo radicale, come è tipico dei bambini, che interpretano tutto in modo letterale. Leggono ‘Chiedi e ti sarà dato’ e lo prendono alla lettera. È il momento in cui ti interroghi, ti poni domande difficilissime, alle quali, in genere, né il prete né la catechista riescono a rispondere. Nel racconto poi sono confluite cose che mi stanno a cuore, dinamiche familiari, rapporti fra persone. Ci sono due livelli: la cameretta, il posto in cui Marcello si pone l’interrogativo trascendente, e l’ambiente familiare, che interrompe la linea di pensieri con flashback che riguardano i genitori e il suo retroterra”.
- Con cinque giorni di tempo non avrai avuto modo di fare più stesure del tuo racconto. È una scrittura immediata la tua?
“In realtà lo avevo preparato prima, quando ho scritto l’incipit. Le sedute di scrittura sono state due. Poi più tardi c’è stato un lavoro di lima”
- In rete si trovano alcuni tuoi racconti pubblicati su varie riviste. Penso a “La caviglia di Alice”, per fare un esempio. Tu acciuffi una mosca, afferri un particolare, partendo da una descrizione della realtà e poi compi un ribaltamento. Si potrebbe dire che questa sia la tua cifra stilistica.
“Non so se si possa parlare proprio di cifra stilistica, la mosca si acchiappa in più modi. Non è necessario concludere sempre con un finale a sorpresa. Ci sono racconti che finiscono per spegnimento, penso a Carver. Ma si resta sorpresi allo stesso modo. Nell’esercizio dello scrivere racconti, così come provo a interpretarlo, ho bisogno di partire da un’immagine forte, per poi ricostruire la storia a ritroso o tutto intorno. Per essere motivato a scrivere mi occorre questa scena madre”.
- Quali sono i tuoi scrittori di riferimento?
“Sono molti e diversi. Fra gli italiani direi Domenico Starnone, specialmente i romanzi della maturità, e Walter Siti, per ragioni opposte. Se del primo mi piace la scrittura lineare, pulita, del secondo apprezzo acrobazie e sotterfugi. Fra gli esordienti ho apprezzato i romanzi di Luciano Funetta. Come straniero, direi lo spagnolo Andrés Barba. Poi naturalmente ci sono Philip Roth, Jonathan Franzen, Emmanuel Carrère”.
- C’è una relazione fra la tua materia di studio, la filologia romanza, e i racconti che scrivi?
“Per lavoro mi occupo di narrativa francese del 1200. Invece non mi sono occupato mai di poesia. Probabilmente la mia curiosità si rivolge istintivamente al racconto, al romanzo e alle origini di queste forme. Probabilmente la scrittura di saggi e articoli ha, con la narrativa, un rapporto di complementarità. Scrivere un saggio per una rivista richiede il rispetto di schemi precisi, uno stile che per me deve essere mancanza assoluta di stile, una scrittura bianca. Scrivere un racconto permette invece di sperimentare, dar voce a un’esigenza espressiva, a una ricerca linguistica, concretizzare un aspetto nel quale, a causa delle esigenze del mio lavoro, mi sento più limitato”.
- Ho trovato la tua scrittura leggera, pulita ed efficace. Inoltre crei delle immagini immediate come quella della luce della lampada a forma di fungo. È frutto di uno studio particolare?
“Se intendi chiedermi se ho frequentato scuole di scrittura ti dico di no. Certo, la lettura è fondamentale. Credo che un ruolo ce l’abbia la scrittura che pratico nel mio lavoro, che come dicevo dovrebbe essere chiara, pulita e senza orpelli. C’è sicuramente una dialettica, una relazione fra le due”.
- Leggo che hai un romanzo inedito nel cassetto, segnalato dal comitato di lettura del Premio Calvino.
“Sì, ha ricevuto una segnalazione di merito, ora sta facendo il suo giro editoriale. Non è semplice per un esordiente.
- Il titolo è L’incauto acquisto…
“In realtà no, quello l’ho abbandonato, anche se aveva avuto una segnalazione al Calvino. Ho fatto un secondo tentativo, che ha ricevuto una seconda segnalazione: si intitola “Ai sopravvissuti spareremo ancora”.
- Vuoi accennarne la trama?
“La trama è esile, inizia con una rapina nella casa di un vicino. Progressivamente scopriamo i personaggi del vicinato, gli abitanti di questa provincia sospesa, un luogo al limitare fra città e campagna. Alcuni personaggi vanno incontro a regressioni animalesche. Dopo la rapina si svolgono delle indagini distratte, viene subito sospettata la badante che lavora a casa dell’anziano vicino. Il protagonista, narratore della vicenda, è un diciottenne che cerca la propria dimensione, si confronta con questi ‘maschi-maschi’, come li chiama lui, uomini che lavorano la terra, trattano male le donne, considerano l’aggressività un valore. È una realtà che il protagonista confronta con il proprio mondo interiore, animato da sensibilità che vengono vissute come qualcosa di proibito. Ha un fratello che in questo mondo invece si trova benissimo, è perfettamente integrato. La storia si svolge in una lunga estate caldissima. Nella narrazione si alternano vari bozzetti, diverse sottotrame innestate su quella principale e nelle quali interagiscono i vari personaggi”.
- Sembra interessante. Hai dei progetti nuovi?
“Continuo a scrivere racconti, periodicamente, quando mi sento motivato, provando a trovare una sede per la pubblicazione. Intanto porto avanti il progetto di scrivere un romanzo”.
(24 maggio 2019)
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