di Guendalina Blabla
Miei cari, è passato un trimestre e io sono di nuovo qui, puntuale, a parlare con voi di libri per bambini. Lo so, di tutte le cose strane che ho fatto nella vita questa non è certo la più strampalata. Eppure a volte mi chiedo se ho le capacità per farlo. Essere nonna me ne dà l’occasione, ma non necessariamente le competenze. Poi penso che il mondo non è altro che un insieme di sensazioni e pensieri. I miei valgono quanto quelli di chiunque altro, non di più, ma neanche di meno. E mi sento meglio.
Eccomi dunque qui a casa della mia amica Clarissa, con lei voglio parlare di Dove si nascondono i bambini? di Emanuela Nava, un albo le cui illustrazioni sono curate da Desideria Guicciardini.
Un libro fresco, leggero e divertente che Il Battello a Vapore mette a disposizione di noi nonne e di tanti genitori. Sì, è vero, anche dei nonni, come dice mio marito Igor, sbuffando un po’ di fronte alla mia dimenticanza. Ma vi confesso che non l’ho mai visto leggere un libro a nostra nipote né ho visto farlo a Pantaleo, il marito di Clarissa. Degli altri nonni nulla so e quindi non mi sento in diritto di dire niente su di loro.
Mentre prendiamo una tazza di tè, stando attente a non versarne sul centrotavola di stoffa bianco, cucito a mano dalla madre di Clarissa ormai diversi anni fa, mi metto a sfogliare questo libro e mi chiedo se per Alice va bene oppure no.
Perché dovrebbe leggere Dove si nascondono i bambini? piuttosto che un altro albo illustrato? Ci sono così tanti libri in commercio da far venire il mal di testa, credetemi. Mia madre non sapeva leggere e mio padre nemmeno. Io giocavo con una bambola di nome Betta. Adesso invece la stanza di mia nipote è piena di libri: grandi e piccini, gialli, verdi, rossi e blu.
Di recente sono entrata in una libreria e volevo quasi venirmene via di corsa. Lo avrei anche fatto, forse, se le mie gambe sopportassero di far altro che trascinarmi di qua e di là. C’erano troppi libri, troppi albi tra cui scegliere. Non sapevo davvero da dove cominciare.
E allora guardo il libro che ho in mano e cerco di capire cosa è. ‘Un albo con tante immagini e poche parole’ risponde Clarissa per me.
Ha ragione. È un libro che lascia ai bimbi la possibilità di fantasticare e ridere dell’assurdo. Questo è importante. Oggi siamo tutti troppo seri. Non ci manca niente, ma è come se fossimo poveri. Tutto è tragicamente serioso. Tutto deve seguire un’etichetta, un ruolo, una sua logica. E i bambini lo percepiscono, non ho dubbi. Sentono che quando danno libero sfogo alla fantasia disorientano noi grandi, ci spaventano, perché non siamo più abituati. E reagiamo con sufficienza. ‘Cose da bambini!’ diciamo.
Ma la logica ci porterà solo dal punto A al punto B, diceva Einstein, è l’immaginazione a portarci ovunque. Il libro di Emanuela Nava è come gli antipasti al carrello, un miscuglio di cose improbabili, anzi proprio impossibili, a cui i bambini possono attingere a piene mani e questo a loro fa tanto ridere. Hanno bisogno di leggerezza.
‘Ne avremmo bisogno anche noi’ mi dice Clarissa. Io la guardo e le sorrido. ‘Io ho bisogno di sapere che c’è per cena, invece’ si intromette Pantaleo. ‘Faraona, a sentire dal profumo’ lo informo io. Non capisco perché lui e Igor se ne stiano qui in cucina ad ascoltare i nostri discorsi se non sono interessati. Secondo me fanno solo finta, sempre meglio che l’ennesima discussione sulla Juventus.
‘E comunque non è solo leggero’ dice ancora Clarissa, come se suo marito non l’avesse interrotta. Con la sua voce serena e pacata mi fa notare che, sebbene in modo delicato, questo libro manda un messaggio forte di inclusività, ‘specialmente verso i genitori.’
Taccio un attimo e rifletto. Non ci avevo pensato. ‘Cosa intendi?’ le chiedo. ‘La donna è rappresentata come maestra e come scienziata, ad un uomo viene fatta indossare una tunica, perché è di altri paesi. Ci sono mamme con i capelli verdi, babbi bassi o grassi, sognatori o camionisti. Non c’è un giusto e uno sbagliato, ecco. Ognuno è il genitore perfetto per un bambino. Apre la mente’ sentenzia Clarissa.
Sono vecchia e lo si capisce dal mio telefono: ha i tasti grandi e non va su internet. Più che vecchia, forse, sono davvero superata, come continua a ripetermi mio figlio. Comunque se squilla so rispondere. È lui, viene a prendere me, Igor e Alice. Mi rimangono dieci minuti o poco più.
‘La scrittrice fa una bella cosa’ riprende Clarissa. Sponsorizza il libro da qualche settimana, quindi si sente in dovere di elencarne tutte le qualità. ‘Ai bambini, prima di nascere, vengono mostrati i vari possibili genitori e sono loro a scegliere in quale parte di mondo nascere e da quale mamma o quale papà. È un bel messaggio. A Anna piace e, secondo me, anche agli altri bimbi.”
Si sentiranno orgogliosi di avere scelto i loro mamma e papà, penso io. Ma non lo dico. A me, invece, piace credere che mia nipote più che mio figlio come padre, abbia scelto me come nonna. Ma mi faccio poche illusioni.
‘Comunque alla tu’ nipote io non glielo leggerei’ si intromette Pantaleo, dimostrando che non mi sbagliavo. ‘Diceva la mi figliola, quando lo comprò, che era un libro da bimbi grandi, ma Anna ha smesso di volerlo leggere a quattro anni. È durato un paio d’anni e poi via. Nel secchio.’
‘Te che ne sai?’ lo rimprovera Clarissa. ‘Lo so perché quando te leggi le storie alla cittina io so’ qui. Vedrai vi sento.’
Sfoglio il libro e penso che a trarre in inganno siano i giochi proposti alla fine. A quattro o cinque anni imparano a farli, prima sono troppo piccoli, ma a quel punto vogliono anche una trama credibile.
Sento il clacson e penso che mio figlio è già arrivato. Devo ancora dire ad Alice che il tempo di giocare è finito. Mi dispiace doverlo fare, vorrei che per lei ci fossero solo giochi e divertimenti, ma so che non è così per nessuno. ‘Solo un altro poco’, vorrei dirle allora.
‘Questo è Gianluca’ dico invece, un po’ a Clarissa un po’ a Igor. ‘Va a chiamare la bambina.’ Questa è rivolta a mio marito, ovviamente. Lui lo sa e non protesta. ‘Senti, ancora non mi hai detto la ricetta per quei crostini dell’altra sera.’ Questa è per Clarissa invece. Anche lei lo sa e non risponde. È gelosa delle sue ricette.
Cambia argomento. “Se vuoi sapere come la penso io rispetto al fatto che sono i figli a scegliere i genitori… beh, è un concetto spirituale, non trovi? Insomma, quando un bimbo nasce in una strana situazione, a volte, è come un dono. Per i genitori a cui nessuno dava fiducia, per esempio. Per tutti comunque. E se anche le cose vanno male, pensare che lo hanno scelto consapevolmente rincuora. Altrimenti verrebbe da chiedersi perché devono affrontare certe cose da così piccoli.”
Che dire, è una visione. Una bella visione. Non come mio figlio che si sbraccia dalla macchina. Lo vedo dalla finestra. Oggi giorno non c’è più pazienza. Si va sempre di fretta, anche quando non si ha niente da fare. Ma questo non è l’argomento del libro di oggi, quindi la chiudo qui. Tornerò a casa e penserò a come scrivere questo articolo perché come direbbe la mia alter ego disneiana: siamo tutti nati con i piedi piatti.
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