di Simona Pacini
Prendete un avvocato emarginato e in fissa con i Pink Floyd, un gruppo di amici appassionati di giochi di ruolo e altri dediti alla buona tavola e al bicchiere, aggiungete una giornalista da poco arrivata in città, metteteli al centro di un mistero, quello di una critica d’arte (nonché ex dell’avvocato) scomparsa durante l’allestimento di una mostra luciferina nel complesso del Santa Maria della Scala a Siena. Ne uscirà Una sera di foglie rosse (Amazon Publishing, 2019), ultima fatica di Riccardo Bruni e prima puntata di una nuova serie noir, quella che vede protagonisti l’avvocato Leo Berni e la cronista Claudia Perrone.
La storia parte un po’ in sordina per poi avvolgere il lettore in un intreccio di casi personali e indagini al limite della legalità che tiene con il fiato sospeso fino alle pagine finali, nello stile proprio dell’autore, specializzato in racconti ricchi di tensione e colpi di scena, oltre che di personaggi difficili da dimenticare.
Riccardo Bruni, giornalista e scrittore, classe 1973, è nato a Orbetello. Pioniere dell’auto pubblicazione in Italia è ora uno degli autori di punta di Amazon Publishing. Nel 2016 è stato candidato al Premio Strega con La notte delle falene. Un’altra scrittrice di Orbetello, Teresa Ciabatti, è stata in lizza per lo stesso premio nel 2018 con La più amata.
“In realtà io sono stato segnalato nella long list iniziale, quella degli Amici della Domenica, presentato da Roberto Ippolito e Giancarlo De Cataldo, mentre la Ciabatti è arrivata in finale, al secondo posto”.
Incontro Riccardo in un piccolo bar invisibile sotto alla fortezza medicea. È lui a scegliere la veranda affacciata sul campo sportivo, lo stesso che ha assistito alle nove stagioni del Siena calcio in serie A.
Per tornare in Maremma, anche la scrittrice Silva Gentilini e i fumettisti Stefano Cardoselli e Daniele Marotta sono nati a Orbetello.
Tanti autori per un posto così piccolo. Come mai?
“Perché non c’è niente da fare (ride) e la gente si deve inventare qualcosa. Io comunque sono stato a Orbetello fino a vent’anni, poi ho vissuto fuori. Ci sono tornato con la trilogia maremmana, anche se La stagione del biancospino in realtà è ambientato sull’Amiata. Ma non ho mai citato esplicitamente i luoghi, che sono visti con gli occhi dello scrittore. Sono posti che mi hanno ispirato, ma mai un luogo reale. Alla fine la mia è una fiction. Ho preferito non nominarli. Sono posti miei, raccontati attraverso la mia sensibilità, magari distorcendoli anche un po’. Poi nella Notte delle falene si può riconoscere Capalbio così come nella Promessa del buio ci sono Manciano e la valle dell’Albegna”.
Dal 2010 a oggi hai pubblicato sette libri, quasi uno all’anno.
“Sembra così, ma in realtà non è vero. Nel 2010 arrivai fra i trenta finalisti del concorso IoScrittore con Nessun dolore. Ma ripresi i diritti e fui pubblicato da Effequ. Nel 2013 è uscito Zona d’ombra in self publishing, che è andato bene ed è stato poi acquisito da Amazon Publishing, che lo ha tradotto in tedesco e in inglese. Il leone e la rosa, lo avevo scritto due anni prima, ed è stato ripubblicato da poco. Il mio primo libro, La lunga notte dell’iguana, ormai introvabile, è del 2004. Dal 2016 al 2018 ci sono La notte delle falene, La stagione del biancospino e La promessa del buio, e ora è uscito da poco l’ultimo, Una sera di foglie rosse, ambientato a Siena. Poi ho qualche racconto sparso qua e là e perfino dei romanzi scritti sotto pseudonimo, con trame così complesse da perdersi solo a pensare di scriverle”.
In realtà anche i romanzi firmati con il tuo nome hanno degli intrecci molto complicati e sono pieni di colpi di scena. Qual è il tuo segreto per non perdere il filo?
“Pianifico molto prima di iniziare. Poi magari cambio andando avanti. Ma prima di tutto architetto la trama, passo il tempo a scomporla e ricomporla”.
Come i grandi chef…
“Sì, come un tiramisù scomposto e riassemblato (risata). È un’operazione divertente. Arrivi in un punto ma percorrendo direzioni diverse. C’è la tridimensionalità, un personaggio e diversi punti di vista. Da ragazzino mi divertivo a scrivere i libri game, seguivo i giochi di ruolo, tutte cose che contengono una narrazione complessa. Nell’ultimo libro, Una sera di foglie rosse, invece ho impostato una serie su un personaggio, l’avvocato Leonardo Berni. Anziché partire dalla storia, ho creato il protagonista, poi gli ho costruito intorno un contesto e la vicenda. Un cambiamento importante, proprio nell’idea. È venuto fuori un genere difficile da catalogare, è un mix di generi. Affonda molto nella cultura popolare, quella in cui sono cresciuto, dove è cresciuto il mio immaginario. Poi c’è da dire che ho anche lavorato come giornalista, un mestiere fondamentale per entrare nel mondo delle storie, specialmente seguendo la giudiziaria, come facevo io”.
È vero che il tuo primo libro lo hai scritto da bambino?
“Ricordo che nella prima casa dei miei c’era una Antares, per scriverlo ho usato quella. E siamo venuti via di lì che avevo 8-9 anni. Era un racconto fanta-horror, una sorta di Alien. Ce l’ho ancora. L’ho ritrovato per caso, mettendo a posto degli scatoloni. Si vede che è scritto da un bimbo. Ma ricordo ancora la soddisfazione e il senso di definizione quando spillai quei fogli”.
Dai tuoi libri si capisce che la musica per te ha sempre un ruolo importante.
“Qui (nella Sera di foglie rosse) il protagonista ha un’ossessione per i Pink Floyd. Ma la musica è sempre presente nella mia vita. Ho cominciato a suonare la chitarra che ero un ragazzo, ho suonato con vari gruppi dal liceo in poi. Facevamo concerti nei pub, in piccoli festival rock, facendo cover ma anche qualche pezzo originale. L’ultima chitarra l’ho comprata il mese scorso”.
Che cosa hai comprato?
“Una Fender Stratocaster”.
Ma ne hai altre?
“Sì, due elettriche, tutt’e due Stratocaster, due o tre acustiche, un paio classiche”.
E perché uno compra una seconda Stratocaster?
“Perché è matto. No, scherzo. Questo è un modello particolare rispetto all’altra. Poi ovviamente ho tutti i miei amplificatori, le cuffie, e quando smetto di lavorare mi rilasso suonando sopra ai dischi”.
Tu sei spesso citato come pioniere del self publishing in Italia. Di che si tratta?
“Ho pubblicato così Zona d’ombra e Il leone e la rosa. Poi alla fine del 2015 sono stati acquistati da Amazon Publishing, che è un editore a tutti gli effetti. Io l’ho fatta in Kdp, Kindle Direct Publishing, una piattaforma messa a disposizione da Amazon per pubblicare libri in e-book. Per chi li desidera in carta poi c’è il print on demand. Non servono investimenti. La piattaforma è intuitiva, basta poco per caricare il proprio libro”.
C’è un po’ la convinzione che autopubblicando, il libro rimanga lì, disperso nel mare magnum della rete…
“Non è così. Anzi, è vitale. Nel momento in cui lo pubblichi, è a disposizione di tutti. È una grande occasione per farsi conoscere e mettersi in gioco. Martin Rua, che oggi pubblica con Newton Compton, è partito da lì. È una zona in cui gli editori fanno scouting. In più è gratuito, anche se poi Amazon trattiene il 30 per cento sul venduto. Con Zona d’ombra arrivavo dalla piccola editoria, roba da vendere qualche centinaio di copie. Quando l’ho pubblicato in self, dopo il primo mese avevo già superato quota mille”.
Perché hai pensato all’autopubblicazione?
“Mi ero laureato a Siena con una tesi sull’editoria digitale, intanto gestivo un blog, Tannhauser, incentrato su questi argomenti. Zona d’ombra è stato un esperimento nato dal blog, con le persone che mi seguivano trasformate per l’occasione in beta readers. Tutto è nato da quella realtà lì”.
Che differenza c’è con l’editoria a pagamento?
“Se paghi per pubblicare l’editore non ha interesse a promuovere il libro, perché i suoi soldi li ha già presi. Col self publishing è diverso. Basta un computer”.
Un consiglio per gli aspiranti scrittori?
“Per chi vuole autopubblicare direi che è meglio fare un piccolo investimento assumendo un editor. Non è la stessa cosa dell’editoria a pagamento. In quel caso paghi un servizio di editing che l’editoria a pagamento invece non ti dà. L’editor ti aiuta. Quando scrivi una storia, la scrivi, l’hai in testa, la rileggi ma ce l’hai sempre in testa. L’editor serve anche a verificare se hai messo tutto su carta. Ti aiuta a tirare fuori il meglio. A quel punto sei più forte, sei editore di te stesso. Devi avere cura del tuo prodotto. È una possibilità che hai, devi sfruttarla al meglio”.
Pensi di autopubblicare ancora?
“No, non sono più un self publisher, cioè proprietario dei diritti sui miei libri. Ora il proprietario è Amazon, con gli editor che ci lavorano. Kdp è una piattaforma a disposizione di tutti. Ma Amazon Publishing è una realtà particolare, traduce e ti apre nuovi mercati. Per dire, La stagione del biancospino è stata tradotta in spagnolo e in audiobook, La notte delle falene addirittura in lituano”.
La notte delle falene è stato pubblicato anche dalla Nave di Teseo.
“Sì, è stato il primo esempio di collaborazione fra un editore on line e uno di carta. Da studioso di editoria digitale è curioso che mi sia trovato al centro di questo passaggio. È stato un esperimento, ne sono soddisfatto”.
Dovendo scegliere fra pubblicazioni on line e quelle su carta quali preferisci?
“Sono convinto che il digitale dia un grande aiuto all’editoria. L’e-book è un alleato, non una sfida. La sfida semmai è tra il libro e Facebook. Fra tutte le cose che facciamo nel tempo in cui prima leggevamo. Trascorriamo metà della nostra vita sui social, viviamo in un mondo parallelo, in cui guardiamo la tv, ascoltiamo musica, seguiamo gli eventi. Se non ci fosse l’e-book, il libro sarebbe tagliato fuori da questo mondo. Sarebbe una tragedia esserne fuori. La sfida è tornare a riempire con la lettura quegli spazi che oggi sono riempiti da altre cose”.
Progetti futuri?
“Ho già scritto il secondo libro della serie di Leonardo Berni. Nella mia testa è una trilogia. Poi però potrebbe andare anche avanti. È la prima volta che scrivo una serie. Ora lavoro alla produzione della seconda puntata con Amazon, la faccio tutta con loro. Forse a novembre esce. C’è uno sviluppo orizzontale della serie e uno verticale per ogni singolo episodio. Ogni libro è incentrato su un caso diverso con in più le storie che riguardano il protagonista e altri personaggi che gli gravitano intorno.
Sono le grandi serie tv di oggi che ci hanno ricalibrato il concetto di serialità, dando molta importanza allo sviluppo orizzontale (come in Lost) che prima non avevano (vedi il tenente Colombo). Oggi guardiamo le serie su stream tv e ci guardiamo tutte le stagioni. Succede con I delitti del barLume, Rocco Schiavone, per citarne due italiane. Non ha più senso vedere una puntata qua e un’altra là in ordine sparso come avveniva prima, con le serie del passato. Penso al tenente Colombo, alla signora in giallo. Ogni puntata era a sé, potevi vederle in qualsiasi ordine, non cambiava nulla. Ora è diverso. Su questa tendenza hanno inciso molto le serie americane. Con Lost mentre si guardava la prima stagione in italiano, c’era già il dvd della seconda in americano. Questo ha modificato le possibilità. Posso fare degli episodi con uno sviluppo orizzontale. Anche molti Anime sono pensati così. Prima erano improntati sul tipo di Sherlock Holmes, Poirot, ogni episodio indipendente dall’altro. Il personaggio rimaneva sempre uguale. Già Maigret invecchia e va in pensione, non è sempre identico.
Oggi si lavora più su questa serialità. Si cerca un equilibrio fra la storia a puntate e le singole storie autonome”.
Fai anche corsi di scrittura. A Siena ti si trova all’Accademia del Fumetto. Perché?
“Soprattutto perché ho voglia di condividere il mio percorso. Anche io ho frequentato una scuola di scrittura a Roma con Domenico Starnone. C’era anche Andrea Purgatori che ci insegnava sceneggiatura cinematografica. Le scuole ti aiutano a scoprire gli strumenti e gli attrezzi del mestiere che, come succede con tutti i mestieri, se vai nella bottega di chi lo fa, impari. Credo che prima che artisti, dobbiamo essere artigiani. Poi il vero lavoro che fai è nel trovare la tua voce, che non è una cosa scontata. È più facile imparare le regole del dialogo che trovare la tua voce. Mi piace aiutare le persone in questa ricerca. È un modo per condividere la tua urgenza di scrivere, una cosa importante della tua vita. La condivisione in fondo è un concetto alla base della scrittura”.
(15 febbraio 2019)
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