di Simona Pacini
La storia non cambia. Per entrare veramente nella vita di un personaggio famoso, al di là delle cronache mondane e delle leggende che lo riguardano, bisogna ascoltare il suo cameriere. Sempre che parli. Questo vale anche per una delle scrittrici più conosciute e analizzate della letteratura moderna, Virginia Woolf, autrice del saggio Una stanza tutta per sé, del romanzo Gita al faro, creatrice della Signora Dalloway, nonché editrice e animatrice del Gruppo di Bloomsbury.
È lecito pensare che, con quanto si è già detto e scritto su questa figura simbolica della letteratura del Novecento, ci sia ben poco altro da sapere.
Eppure Alicia Giménez-Bartlett, autrice spagnola pubblicata in Italia da Sellerio, conosciuta ai più per i romanzi polizieschi dell’ispettrice Petra Delicado, ci ha provato. Con il diario di Nelly Boxall, la storica governante di casa Woolf.
Un documento che appartiene alla nutrita schiera dei falsi letterari, usato come pretesto per affrontare alcuni lati inediti del carattere complesso e misterioso della scrittrice inglese. Come già Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi e Miguel de Cervantes nel Don Quixote, anche Giménez-Bartlett finge di aver rinvenuto il prezioso manoscritto che la porterà a trasferirsi in Inghilterra il tempo necessario alla consultazione del diario e alla stesura del romanzo.
In realtà l’unico testo alla base di questa biografia romanzata dal titolo Una stanza tutta per gli altri (Sellerio, 2003, traduzione di Maria Nicola), sono i diari, quelli sì reali, di Virginia Woolf. Ma la chiave di lettura originale di Giménez-Bartlett consiste proprio nel confronto tra gli scritti dell’autrice inglese e il (falso) diario della sua ex governante.
Quello che forse l’autrice non si aspettava scrivendo un romanzo con l’intento dichiarato di rendere omaggio al Gruppo di Bloomsbury, una delle realtà artistiche più rivoluzionarie e influenti di tutto il Novecento, è che alla fine, più che un ritratto inedito di Virginia Woolf è riuscita a creare un nuovo personaggio, quello di Nelly Boxall, la domestica che dal 1916 al 1934 servì in casa Woolf.
– Io lavoro qui, signora, e una parte del mio salario è questa stanza; quindi questa stanza è mia finché io abiterò in questa casa. Vuole uscire, adesso?
-Come hai detto?
Virginia era semiparalizzata dalla rabbia.
-Esca dalla mia stanza, signora.
In questo passaggio l’autrice dona alla cameriera uno spessore degno della sua padrona, la stessa Virginia Woolf che auspicava per ogni donna, “del denaro e una stanza tutta per sé” per potersi dedicare liberamente alla nobile arte della scrittura. In realtà le idee della scrittrice, prese a modello anche dall’ideologia femminista, non sembrano riguardare tutte le donne, ma soltanto quelle appartenenti ai ceti sociali più alti. Il libro di Giménez-Bartlett punta su questa incoerenza. Nelly, crescendo come personaggio, attira molta luce di sé mentre evidenzia allo stesso tempo le ombre del carattere della scrittrice e soprattutto degli artisti che facevano parte dell’innovativo e scandaloso Gruppo di Bloomsbury.
“Se questo diario non l’avessi scritto io e un bel giorno dovesse cadere nelle mie mani, – scrive Virginia Woolf il 15 dicembre 1929 – cercherei di scrivere un romanzo su Nelly, sul suo personaggio. Tutta la storia fra noi, gli sforzi miei e di Léonard per liberarci di lei, le nostre riconciliazioni”.
Questa è la sfida raccolta da Giménez-Bartlett.
Dietro questi alberi nessuno mi vedrà o, per meglio dire, non verrò notata. Ho l’aria di una donna rispettabile che si è fermata un attimo per osservare un funerale. C’è sempre gente che si ferma per guardare i funerali o i matrimoni all’uscita delle chiese. Lei sarà cremata. Lottie mi ha detto che le ceneri verranno conservate a Rodmell, sotto un olmo. In famiglia si è parlato di mettere una targa inchiodata nel tronco, con un’iscrizione: “Oh, Morte!”, presa da uno dei suoi romanzi. Molto poetico.
Nell’incipit del romanzo l’autrice immagina Nelly assistere nascosta al funerale di Virginia Woolf, morta suicida il 28 marzo 1941. Da sette anni non è più la governante della scrittrice e la lontananza fra le due donne si percepisce dal tono distaccato con cui Boxall parla dell’evento. Nei diciotto anni di servizio a casa Woolf il rapporto fra le due donne fu invece molto burrascoso, “una difficile relazione di amore e odio”, secondo Giovanna Digovic, (“Barcellona in giallo”), che arriva a ipotizzare anche un legame sentimentale fra loro. Elisabetta Chicco Vitzizzai, (“Alla tavola di Virginia Woolf. Vita in casa di una scrittrice”), sostiene che anche alla Boxall la Woolf avrebbe dedicato l’opera Orlando (destinata espressamente a Vita Sackville-West) per l’ispirazione che le avrebbe dato.
Nelly Boxall non è stata dunque una semplice cuoca e domestica e la sua forte personalità ben traspare dalle pagine di Una stanza tutta per gli altri, facendo da contraltare a quella di Virginia Woolf, descritta nell’inedita veste di padrona di casa.
Negli anni Sessanta andò in scena a Broadway il dramma dell’autore americano Edward Albee “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, poi rappresentato a lungo e interpretato anche al cinema da Liz Taylor e Richard Burton. Nell’opera, il nome della scrittrice inglese veniva citato solo per un gioco di parole, a causa dell’assonanza con il ritornello di una canzoncina popolare (“Who’s afraid of the big bad wolf?”. “Who’s afraid of Virginia Woolf?”) che i due protagonisti della storia canticchiano di quando in quando. Qualcuno ci ha visto però anche un riferimento alla vita squilibrata e suicida della scrittrice, messa in relazione al complicato matrimonio della coppia protagonista.
Ora Nelly, grazie alla ricostruzione di Giménez-Bartlett, ha lasciato la zona grigia in cui era relegata come esponente della servitù, seppure di una delle famiglie più conosciute del secolo scorso, assurgendo al ruolo di personaggio vero e proprio.
Chissà se prima o poi qualcuno si chiederà “chi ha paura di Nelly Boxall”?
(15 gennaio 2019)
Be First to Comment